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Cap III – La paura

a cura di Gianni Briganti

Gianni Briganti

Gianni Briganti

Come dettagliato nel precedente articolo (leggi qui) Garibaldi salpa con 13 navi da pesca cesenaticensi, pescatori inclusi, alla volta di Venezia e verso il delta del Po incrocia alcune navi nemiche austriache che cominciano a bombardarli. La sua strategia è quella di aprirsi un varco tra le navi nemiche costringendoli quindi a cessare i lanci di palle di cannone per evitare il fuoco amico. Ma non è tutto; riferisce A.Dumas che “improvvisamente il vento spirò contrario” al pari di Vittorio Ottolini che dichiara come “d’un tratto anche il vento mutò pei nostri, da propizio in contrario” e infatti Pier Carlo Boggio conferma che ai pescatori “gli era mestieri vogare a gran forza”. Se avessero superato la flotta austriaca, anche questa poi si sarebbe trovata, invertendo la rotta per inseguirli nuovamente, col vento contro.

Garibaldi è un grande condottiero che sa come dirigere truppe e imbarcazioni; un soldato è solitamente addestrato ad avere polso fermo e ad affidarsi completamente al proprio superiore, sprezzante del pericolo e disposto a dare la vita per la causa. Tuttavia, stando ai documenti, ai remi di gran parte delle imbarcazioni erano posti i più semplici pescatori cesenaticensi, che tutto avevano fuorchè la disciplina e il coraggio delle truppe militari. Ci conferma questo quadro Giuseppe Da Forio: “Il pericolo si fa via via più imminente. I volontari quasi tutti nuovi del mare, aveano comandato ai pescatori di vogare e di dirigere i palischermi, ma i pescatori alla lor volta erano divenuti paurosi più che mai. Per liberarsi di gente che lor prende per forza le barche, or sono per cadere in mano di altra ben più crudele e altera. Ad un tratto, mentre di maggiore energia si ha bisogno per mettersi fuori il tiro de’ cannoni, le braccia de’ pescatori si rallentano, il movimento è paralizzato.”

I nostri concittadini, nell’avvicinarsi agli austriaci, si vedono bersaglio continuo di palle di cannoni e Garibaldi viene quindi “o male secondato o disobbedito dai pescatori cui appartenevano le barche, e che volevano ad ogni costo salvarle” (G.Lombroso). Dà una versione simile Luigi De La Varenne: “Garibaldi ordina di raddoppiare gli sforzi per frapporre il massimo possibile spazio fra le barche e le navi nemiche; ed è assecondato con ardore dai pescatori; disgraziatamente le cannonate si moltiplicano, e tale incutono uno spavento ne’ marinai che decidono voltar la prora verso terra”. Aggiunge infine un ulteriore dettaglio Roberto Panzini (La vita di Giuseppe Garibaldi scritta pel popolo): “La paura si manifestò ben presto ne’ barcaioli i quali non udendo più la voce del comando co’ loro insani movimenti, furono cagione che vari garibaldini restassero prigioni del nemico”.

La paura prende quindi il sopravvento sugli ordini e qui alcuni autori riportano l’immagine di un Garibaldi ancora più determinato: “(…) non si perde d’animo; Garibaldi_3ritto sulla prora della barca grida ai suoi: – Serrati! Serrati! -” (Vittorio Ottolini). E ancora “Il Garibaldi, tanto più intrepido quanto maggiori le avversità, tentando animarli e rattenerli da quel fatale sbandarsi, levatosi in piè e snudando la spada, additava non lungi la sponda” (Martino Cellai, Fasti militari della guerra dell’indipendenza d’Italia). E infine Giuseppe Da Forio: “Era terribile l’aspetto del Generale che imbandita la spada, rizzatosi in piedi grida ai pescatori di far forza di remi, chè in breve ora avrebbero afferrata la sponda”.

 

Il piano perfetto di Garibaldi va a rotoli per la paura e la scarsa disciplina dei pescatori cesenaticensi che disubbidendo agli ordini perdono le barche se non, soprattutto, la vita. Forse, in parte, influì anche lo stato di salute dei soldati che lo accompagnavano: poco determinati in quanto “quasi tutti malati”, come dichiara Pier Carlo Boggio. Comunque sia il resto è storia nota: ben 8 imbarcazioni su 13 vengono affondate. Si salva quella di Garibaldi che, assieme e quelle di altri quattro suoi abili ufficiali, come scrive Luigi De La Varenne “dopo miracoli di bravura e di audacia, approda a terra”.

Rimane aperta un’ultima spontanea domanda: come mai le poche imbarcazioni condotte con pugno fermo, tra cui in particolare quella capitanata da Garibaldi, non proseguirono imperterrite nel piano che prevedeva di passare in mezzo alle navi nemiche? A maggior ragione, con le altre imbarcazioni disallineate a far da bersaglio, sarebbe stato ancora più facile portare a termine il piano arrivando indisturbati fino alla laguna veneta. La risposta giace proprio nelle “Memorie” del nostro protagonista, che prima di essere un grande condottiero militare si dimostra persona di alti valori umani. Scrive infatti: “i compagni bragozzi, intimoriti dal fracasso dei tiri e dal numero crescente dei nemici, retrocessero, ed io con loro non volendo abbandonarli”. Non li abbandona al loro destino, forse proprio cosciente del fatto che lui stesso ha scelto quel piccolo e improvvisato esercito di pescatori cesenaticensi; decide di rimane al loro fianco, a costo di continuare a subire i colpi di cannone degli austriaci.

Questo è l’autentico e completo racconto del fallimento del viaggio e dei suoi motivi desumibili dalle fonti bibliografiche. Terminano quindi qui i retroscena sull’imbarco di Garibaldi? Assolutamente no, anzi c’è tanto altro: se volete scoprire altri straordinari dettagli sul passaggio dell’eroe dei due mondi a Cesenatico non perdetevi l’ultima parte del racconto, domani, su LivingCesenatico.it.

Alessandro Mazza

Alessandro Mazza

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