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di Mario Pugliese

Dopo dieci mesi di legislatura si levano – puntuali – le prime critiche al sindaco. Fondate o faziose, non è questo il punto. Era accaduto a Buda, accade oggi a Gozzoli. Accadrà sempre. Perché Cesenatico, politicamente parlando, è un paese ormai diviso in due, ma soprattutto perché – malgrado le lezioni passate – ci si ostina ad accogliere le nuove Giunte con aspettative enormi, anzi esagerate.

Come recita l’adagio «non si dicono mai tante bugie quante se ne dicono prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia». E di bugie, con il senno di poi, ne abbiamo ascoltate parecchie un anno fa in campagna elettorale, quando – con un Comune commissariato (e quindi con prospettive di bilancio già ben delineate) – da ogni latitudine sgomitavano le sperticate promesse dei candidati sindaco.

Il politico, si sa, fa il suo mestiere, che è quello di promettere ponti anche laddove non esistono fiumi, ma ciò che mi ha sempre sorpreso – a destra come a sinistra – è il fondamentalismo dei «soliti» ultras della politica che, ad ogni chiamata alle urne, puntualmente si illudono di aver trovato il loro messìa. Come dire, altri pastori, altri cani, le stesse pecore.

Ha vinto Gozzoli ed oggi, esaurita la luna di miele, tocca a lui portare la croce. Dopo quasi un anno di governo, ecco sistematiche (e un po’ stucchevoli) le accuse di immobilismo amministrativo, di servilismo nei confronti dei dirigenti e di scarsa lungimiranza politica. Vero o non vero, sento odore di déjà vù.

Un anno fa gli slogan, i brindisi e le promesse di cambiamento («Yes, we can»). Adesso il realismo disilluso di bilanci risicati che ti annodano le mani e ti zavorrano le idee. Ieri, tutti utopisti con la testa tra le nuvole, oggi tutti realisti con i piedi nel fango. E’ accaduto a Buda che, nel 2011, si lagnava dei 55 milioni di euro di debiti lasciati dal Pd, sta accadendo a Gozzoli che oggi non perde occasione per denunciare i crateri nel bilancio lasciati da chi l’ha preceduto.

In realtà, chiunque, un anno fa, avesse voluto analizzare con obiettività la situazione economica del Comune di Cesenatico (i bilanci sono pubblici, basta saperli leggere), avrebbe dovuto concludere che, con questi conti, neppure «Cetto la Qualunque» avrebbe mai azzardato promesse.

Ai sindaci di oggi, diciamo la verità, restano solo i rustici compiti del «mediano»: rigido controllo dei conti pubblici, qualche nomina fiduciaria, un buffetto di cipria qua e là e, quando il consenso cala, presentazione di maxi-progetti che, in una legislatura, non si realizzeranno mai.

Il problema, dunque, non sta nell’incapacità (vera o presunta) di chi amministra, ma nelle aspettative allucinogene di chi si illude che i candidati, unti dal Signore, siano in grado di camminare sulle acque. Il problema, lo dico nella maniera più impopolare possibile, sta in quell’irriducibile gregge di cesenaticensi che, ogni cinque anni, a destra come a sinistra, ricadono puntualmente nel gorgo liturgico della «passione politica». Ci credono davvero, ripudiano le sfumature, si lasciano stordire da pregiudizi e proselitismi, auto-convincendosi – malgrado i programmi elettorali in carta carbone – che da una parte c’è il grande statista e dall’altra la mezza calzetta.

Poi, quando i proclami visionari cedono il passo al crudo realismo, al posto del fuoriclasse si ritrovano un timido passacarte, nel migliore dei casi un amministratore onesto e laborioso costretto, suo malgrado, a fare nozze coi fichi secchi. Perché – ed è questo il punto – il Federalismo Municipale, pur raddoppiando il prelievo fiscale ai cittadini (dagli 8 milioni del 2011 ai 17 del 2015), ha costantemente sottratto risorse ai Comuni, riducendone drasticamente le entrate e dunque le possibilità di investimenti.

Per dirla come va detta, al di là dell’Imu sulle piattaforme, «mancano i baiocchi». Questo andava detto, con schiettezza, ai 10.990 cittadini che, nel giugno scorso, si sono recati alle urne per il ballottaggio. E invece tutti zitti. Perché il politico fa il suo mestiere e l’elettore – oggi come cinque anni fa – prima ci casca e poi s’incazza.

One Comment

  • Antonio Manuzzi ha detto:

    Tutto giusto….. infatti io non sono andato a votare, perché sapevo che chiunque avesse vinto non mi avrebbe cambiato la vita. Il problema è che in tanti al contrario si sono illusi e anche oggi ragionano come se i politici fossero davvero mossi da spirito di servizio. Ma lassandè…

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