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La Cassazione sostiene che la morte del ciclista Marco Pantani non è omicidio e dichiara che le prove disponibili «rendevano improponibile e congetturale la tesi di un omicidio volontario compiuto da ignoti» sostenuta dai familiari di Pantani. Queste le motivazioni della Cassazione depositate oggi (martedì 14 novembre) a conferma dell’archiviazione delle indagini.

La Cassazione di fatto spiega perché, lo scorso settembre, sono stati rigettati i ricorsi dei genitori di Marco Pantani che si opponevano all’archiviazione della seconda indagine sulla morte del ciclista, disposta dal gip per «infondatezza della notizia di reato». Erano stati proprio i genitori del campione, trovato morto a Rimini il 14 febbraio 2004 in una stanza del residence Le Rose, a chiedere di riaprire l’inchiesta sul decesso del figlio, ipotizzando, in un esposto presentato nel luglio 2014, che si fosse trattato di omicidio.

I genitori del Pirata, nel loro esposto, sostenevano che si trattò di un «omicidio compiuto ad opera di ignoti, realizzato costringendo l’atleta ad ingerire una dose mortale di cocaina, a cui si era accompagnata l’alterazione dello stato dei luoghi prima dell’intervento delle forze dell’ordine».

Secondo la Cassazione «legittimamente» il gip ha valutato «gli indizi a disposizione» che «unitariamente considerati» portavano alla conclusione che Pantani «si trovava da solo nella stanza» del residence Le Rose di Rimini e che «era impossibile per terzi accedervi». Si conferma quindi la conclusione delle indagini, che hanno ritenuto che la morte di Pantani sia stata causata «da una accidentale, eccessiva, ingestione volontaria di cocaina precedentemente acquistata». Scartata quindi la tesi che «ignoti» abbiano costretto «l’atleta ad ingerire una dose mortale di cocaina».

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