di Sabina Magalotti

Sono una delle categorie più colpite dal Covid-19 perché, loro, la Fase 2 la vivranno ancora da spettatori.

Eppure – tra ricrescita, chiome alla Maradona ed imbarazzanti “fai da te” – i parrucchieri, dopo 40 giorni di pettinature selvagge, sono uno dei servizi più richiesti dalla collettività. E invece, catalogati nell’alveo dei “servizi non essenziali”, dovranno attendere ancora un mese prima di riaprire le loro attività.

Ma come l’hanno presa i coiffeur di Cesenatico questa contestatissima proroga del lockdown? La parola ad Enrico Chillon che, con sua moglie Roberta detta “Beba”, gestisce da anni il salone di viale Trento, Sabrina Pazzaglia dello “Studio Stile” di viale Trento, Terzo Paolucci di Emanuele Parrucchieri ed Angelo Zoboli di Greenparrucchieri Bio Salone in via Cartesio.

Enrico Chillon

“Chiusi fino al 1° giugno? Sono caduto dal pero. Noi parrucchieri siamo una categoria che, già da anni, nei nostri negozi applichiamo rigorosissimi protocolli sanitari per la sanificazione. Nel mio salone, ad esempio, ancor prima della pandemia da Covid, usavo già asciugamani usa & getta e mi servivo da una lavanderia esterna che mi certificava la completa igienizzazione dei panni. Insomma, da noi disinfettavamo e sterilizzavamo già tutto”.

“Ho chiuso il mio salone dall’11 marzo. L’ho deciso due giorni prima del lockdown anche per tutelare la salute dei miei sette dipendenti che ho dovuto mettere in cassa integrazione (che, per altro, mi dicono, non è ancora arrivata). Io pensavo che ci avrebbero fatto riaprire, al massimo, entro il 18 maggio. Questa mazzata del primo giugno non se l’aspettava nessuno. Non mi capacito. Oltretutto il primo giugno è anche un lunedì e noi, come categoria, saremmo chiusi. Poi c’è il 2 giugno che è festa… quindi apertura il 3 giugno. In ogni caso, io penso che aprirò lunedì 1”.

Chillon fa parte dei “Delegati del benessere”, un’associazione di Confartigianato: “Come associazione, in piena autonomia, avevamo mandato a Roma un protocollo sanitario, che noi ci eravamo impegnati ad adottare. Avevamo già iniziato a preparare la riapertura in sicurezza, ordinando macchine igienizzanti per l’ambiente, garantendo la sanificazione tra un cliente e l’altro con prodotti testati, mascherine ffp2, visiere, guanti. Con questo protocollo avremmo lavorato con la stessa dotazione con cui gli infermieri lavorano in ospedale. Potevano almeno dirci che le proposte che gli abbiamo inviato non andavano bene, che secondo loro non evitavano il contagio… Ma niente! Almeno avere una risposta. Anzi la risposta c’è stata… ed è stata il 1 giugno”.

“Come si fa ad aprire prima i musei e le metropolitane dove gli assembramenti sono scontati e, contestualmente, imporre la chiusura alle nostre attività dove gli ingressi sono, per natura, contingentati visto che da noi si lavora solo per appuntamento? Mi viene da pensare che ci sia un disegno che voglia azzerare la categoria a favore di qualcos’altro. Sicuramente non si vuole il bene della categoria. A quanto pare non hanno nessuna idea di come si è evoluto il nostro settore in questi anni. Non conoscono la nostra capacità di organizzarci e di aggiornarci. Tutti gli sforzi compiuti in questi anni sono stati del tutto ignorati”.

Sabrina Pazzaglia

Io sono molto amareggiata, navighiamo da quasi due mesi nell’incertezza più totale. Sono molto delusa perché non mi sarei mai immaginata di dovere aprire il 1 giugno. Girava la voce che avremmo aperto al più tardi il 18 maggio. Tant’è che io mi ero già preparata con tutte le precauzioni e stavo già iniziando a prendere appuntamenti con le mie clienti. Quest’anno la mia attività avrebbe compiuto 25 anni. I miei 3 dipendenti sono a casa in cassa integrazione, che ancora non hanno percepito. Io non ho neanche preso le 600 euro e neanche mio marito pur avendo la partita Iva. Io non me ne faccio niente delle scuse che ha fatto l’altra sera il presidente Giuseppe Conte a tutti coloro che non gli sono arrivate le 600 euro. Io voglio lavorare e, come ho spiegato prima, ho tutte le carte in regola per poterlo fare in piena sicurezza. Un altro mese a casa è dura da accettare. Iniziano ad arrivare i pensieri. Io sono fortunata perché il negozio è mio e non pago l’affitto, ma le tasse e le bollette sono comunque da pagare e forse qui non hanno capito che noi, da 40 giorni, siamo a reddito zero”.

Terzo Paolucci

Cosa devo dire? Arrabbiarmi tanto non serve a nulla. C’è però una cosa che mi manda su tutte le furie. Io rispetto le regole e il mio salone l’ho chiuso davvero. Altri colleghi, invece, continuano a lavorare facendo servizio a domicilio. Quando vado a fare la spesa vedo dei tagli ‘sospetti’. Io sono un addetto ai lavori, certe sfumature e certi tagli li fa solo un professionista. Quindi nessuno mi toglie dalla testa che qui c’è qualcuno che aggira le regole e continua a lavorare da casa o a domicilio. Anche la mia clientela me lo ha chiesto, ma io rispetto le regole. Ecco cosa mi dà fastidio: che se devo aprire il 1 giugno qui diventa una giungla. Almeno si regolarizzi la possibilità di mantenere la clientela dandomi la possibilità di fare un servizio a domicilio, che io farei naturalmente con le dovute cautele. Non è molto, ma almeno non perdo i clienti.

Angelo Zoboli

E’ un disastro! Per chi opera nel settore del benessere è una mazzata dopo l’altra. Eppure le nostre attività sono sempre state controllatissime dall’Asl, abbiamo un protocollo sanitario che prevede delle regole ben specifiche. E questo anche prima dell’epidemia. Noi rispettiamo sempre le norme di igiene e pulizia per tutelare le nostre clienti e noi stessi. Questa penalizzazione fa felici solo chi continua a lavorare in nero. Ci sono persone che non rinunciano alla loro estetica e ci sono colleghi che se ne stanno approfittando. Ho aperto il mio salone da appena un anno, è la mia passione, il mio lavoro. In negozio usiamo prodotti bio e soprattutto prodotti made in Italy. Ho un solo dipendente con il quale ho un ottimo rapporto. In questo momento siamo penalizzati tutti e due. Io, anche se ho percepito le 600 euro, devo comunque pagare le tasse anche se le hanno solo rinviare. Il mio dipende, invece, non sa ancora quando percepirà la cassa integrazione. Con i nuovi decreti che sono usciti in questo periodo noi non possiamo neppure licenziare. Cosa che, invece, avrei fatto in accordo con il mio dipendente per fargli prendere almeno la disoccupazione. Naturalmente lo avrei riassunto non appena avremmo riaperto il salone, ma qui sembra che facciano di tutto per complicarci la vita”.

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One Comment

  • Leo ha detto:

    Si lamentano sempre quello che conviene quello che non ci conviene non ne parlando furbi pagati i contributi giusti ai lavoratori non ci fate un contratto part time e lavori tutto il giorno a Sciacca e pieno di queste gentaglia lo fanno quasi tutti ti fanno il contratto così quando viene un controllo sono puliti perché hanno il contratto se parli non lavori più a Sciacca così come tutta la politica Sicilia

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