Da noi si chiama “moscone”, altrove si dice “pattìno” (parola che è finita anche nella più famosa delle canzoni balneari, “Stessa spiaggia stesso mare”, che dice a un certo punto “…sul mare col pattino”…), ma di fatto appartiene alla stessa famiglia dei catamarani: una barca con due scafi paralleli, usata sulle coste basse e sabbiose come la nostra per fare un giro in mare, pescare, e per il salvataggio. Nel frattempo, è stata dotata di pedali ed è diventata “pedalò”, con ruote di automobile disegnate sulle fiancate, a dimostrazione che l’immaginario automobilistico ci segue anche in mare.

Nella foto De Biagi, maestro d’ascia dell’omonimo cantiere navale di Cattolica
Il moscone è comunque a tutti gli effetti una barca tradizionale tipica della nostra costa, e per questo motivo il Museo della Marineria gli ha riservato un posto d’onore al primo piano del padiglione espositivo. Nei giorni scorsi, però, il museo ha acquisito un altro esemplare ancor più interessante: un moscone a vela, dotato cioè di un albero, una vela con armo “Marconi” (quella triangolare in uso sulle barche da diporto), ed un timone. Fabio Fiori – che ha studiato e scritto sui mosconi romagnoli e non solo – riferisce che si tratta dell’unico esemplare superstite di un lotto di una decina appena di barche prodotto dal cantiere De Biagi di Cattolica nei primi anni ’60. Il moscone è stato utilizzato sino a qualche tempo fa da alcuni ragazzi di Bellaria, che non potendoci più navigare per ragioni di tempo e lavoro, hanno deciso di donarlo al museo di Cesenatico.

In Romagna e in Italia il moscone a vela non ha mai avuto successo, anche se alcune fotografie d’epoca mostrano barche simili nei primi anni del Novecento; è invece più diffuso sulle coste mediterranee della Spagna, dove il “patì Català” è protagonista di vere e proprie regate.
Il progetto del museo è quello di conservare questa testimonianza unica nel suo genere, restaurandolo appena possibile e facendolo anche navigare di nuovo, magari in collaborazione con un circolo velico locale.