Il quadro attuale
Il popolo del grano scende in piazza con una grande mobilitazione da Nord a Sud del Paese che vedrà migliaia di agricoltori della Coldiretti manifestare per denunciare le manovre di veri e propri trafficanti che utilizzano le importazioni di prodotto straniero per far crollare i prezzi di quello italiano, scesi ormai drammaticamente sotto i costi di produzione. Speculazioni che rischiano di far drasticamente diminuire le capacità produttive del Paese in un settore strategico per l’approvvigionamento alimentare, con pesanti conseguenze dal punto di vista economico e ambientale.
Lo sciopero: 26 settembre 2025
Domani venerdì 26 settembre, a partire dalle ore 9, gli agricoltori provenienti da tutta Italia, invaderanno pacificamente con cartelli, bandiere e striscioni le città simbolo della cerealicoltura nazionale, da Bari (Lungomare Nazario Sauro), capoluogo del Granaio d’Italia, la Puglia, a Palermo (raduno in Piazza Marina), in Sicilia.
Ma presidi sono previsti anche a Firenze, Cagliari e Rovigo.
A rischio è la sopravvivenza di oltre cento trentamila aziende agricole impegnate nella coltivazione, ma anche un patrimonio territoriale di 1,2 milioni di ettari minacciati dall’abbandono e dalla desertificazione.
A Bari sarà presente una delegazione di oltre cento produttori in rappresentanza dell’Emilia-Romagna guidati dal presidente regionale di Coldiretti, Luca Cotti e dal Direttore Marco Allaria Olivieri.

Il commento di Luca Cotti, presidente regionale Coldiretti
«In questo importante momento di mobilitazione in difesa del grano – ha dichiarato Cotti – l’Emilia-Romagna si unisce con convinzione: mantenere la coltivazione nazionale del grano non è solo una questione agricola, ma un pilastro del “Made in taly” alimentare. Bisogna garantire una remunerazione giusta agli agricoltori, che permetta loro non solo di coprire i costi crescenti, ma di continuare a essere protagonisti di filiere di qualità. È necessario ridistribuire il valore lungo tutta la filiera, attivare contratti stabili di filiera e tutelare la nostra sovranità alimentare, evitando che la produzione nazionale soccomba alla concorrenza sleale delle importazioni straniere».