a cura dello Studio Associato Faggiotto Samorè
C’era una volta un’azienda molto seria, dove tutto era regolato da policy, procedure e codici etici… finché Cupido non decise di metterci lo zampino. Un giorno, durante un concerto dei Coldplay, un dirigente fu fotografato abbracciato a una collega. Boom! La foto finì online e l’azienda (insieme a mezza Italia) si chiese: “Ma i colleghi possono innamorarsi o serve l’autorizzazione del datore di lavoro?”.
Da lì è partito un dibattito infinito: tra chi vuole regolamentare l’amore come fosse un benefit aziendale, e chi difende la privacy come un baluardo sacro. Alcune multinazionali hanno provato con divieti e obblighi di “confessione sentimentale”, ma i giuristi hanno subito ricordato che la Costituzione e il GDPR non vanno d’accordo con il gossip da ufficio.
La legge dice chiaramente: il datore può interessarsi solo se la relazione crea un vero conflitto di interesse (ad esempio tra capo e subordinato, o con partner che lavora per un concorrente). Tutto il resto? Affari di cuore, non d’ufficio.
In pratica, le aziende devono trovare il giusto equilibrio:
- niente intrusioni nella vita privata,
- ma attenzione a evitare favoritismi, conflitti o malumori tra colleghi.
Il Garante Privacy, i giudici e persino l’Europa concordano: serve buon senso e proporzionalità. Le policy devono tutelare l’organizzazione senza trasformarsi in “Grande Fratello aziendale”.

La morale?
In ufficio può nascere l’amore — e non serve un codice etico per fermarlo. L’importante è che resti trasparente, gestito con equilibrio e non diventi un rischio per l’azienda. In fondo, un’organizzazione sana è quella dove anche Cupido, se entra, trova regole chiare ma umane.
Studio Faggiotto Samorè
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