Attilio è alla svolta della sua prigionia sotto i tedeschi in ritirata. Ecco la sua storia raccontata in prima persona grazie al diario concesso dai figli Mauro e Giulio.
CAP VI
La fuga
“Il sei aprile a notte fonda fummo svegliati in fretta e furia e, consegnatoci un pezzo di pane e margarina, fummo consegnati ai militari delle SS armati fino ai denti e di nuovo in marcia verso la pianura. La zona in cui eravao si trovava nei pressi della città di Hannover, procedemmo silenzioni nel buio chiedendoci quale sorte ci sarebbe toccata. Ogni tanto questi barbari si divertivano a gettare in mezzo a noi sigarette e viveri sparando in aria colpi di pistola; era uno dei loro sistemi per umiliarci. Dopo aver fatto tanti chilometri in mezzo a queste montagne boscose al buio, la stanchezza iniziò a farsi sentire e ci trovammo in una colonna dove era facile perdersi e allanotanarsi dalle guardie delle SS.
Camminai a lungo sulla stessa strada che faceva la colonna perché inoltrarsi nel bosco era troppo pericoloso. Fatti un po’ di chilometri trovai l’amico Silemi che anche lui si era distanziato dalla colonna e più avanti c’erano altri due: Vidani Giuseppe e un altro di cognome Aprile di Bari, il nome non lo ricordo. Arrivati insieme alle prime case del borgo nella pianura fummo chiamati da una signora che di nascosto ci diede pane e qualche mela. Avvicinatasi ci disse di non allontanarci dai paraggi perché in nottata o al massimo il giorno seguente saremmo stati liberati dagli americani che avevano invaso la Germania. Ringraziammo la signora del cibo e delle notizie e continuammo la nostra marcia.
Nel paese successivo fummo avvicinati da una ragazza polacca che lavorava per una famiglia tedesca invitandoci in casa a mangiare
qualche cosa, l’nvito era stato autorizzato dal suo padrone che era a letto ammalato. Finita la cena chiedemmo se poteva ospitarci per la notte, ma il nostro desiderio non fu esaudito; infatti era troppo pericoloso ospitare dei prigionieri. Così ancora una volta dopo aver ringraziato ci mettemmo in viaggio e trovammo dopo qualche chilometro una grande baracca; il lucchetto era aperto così fu facile entrare. Dentro c’erano alcuni carri agricoli e ai lati barbabietole e un cesto di lumache. Quello sarebbe stato il nostro cibo per l’indomani.
Entrati dentro la baracca per passare la notte dalle fessure delle pareti vedemmo arrivare un paio di camion militari tedeschi senz’altr in fuga“.