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Diario di Attilio – Cap VII “Il gran giorno”

By 17 Febbraio 2015 Gennaio 18th, 2022 No Comments

Attilio è nascosto in una baracca mentre i tedeschi ronzano attorno. Sono in fuga dall’avanzata alleata. Ecco quei momenti raccontati in prima persona grazie al diario reso pubblico dai figli Mauro e Giulio.

Cap VII

“Il gran giorno”

“I tedeschi se ne andarono verso le colline, erano senz’altro in fuga. Furono momenti da brividi per la nostra posizione, ma tutto andò nel migliore dei modi. Passammo lì la notte dormendo sulla paglia e al mattino fummo svegliati da un gran via vai di camionette; ad un certo punto qualcuna di esse si è fermata davanti alla baracca, i militari sono scesi e hanno rotto con il calcio del mitra la porta per entrare a controllare. A quel punto fummo costretti ad uscire dal nostro nascondiglio con le mani alzate al cielo in segno di resa senza sapere se fossero soldati americani o tedeschi tanta era la paura.

Per capire di che nazionalità eravamo ci fecero parlare tra noi, così capirono che eravamo italiani anche grazie al suggerimento di uno di loro che era italiano e combatteva con gli alleati. Difficile spiegare quegli attimi a chi non ha avuto la disavventura di trovarsi prigioniero per anni nelle mani di quelle belve dei tedeschi. Ci riempirono di cioccolata, ci diedero sigarette e asciugamani profumati. Poi ci dissero che eravamo liberi e di andare dove volevamo.

Tornammo indietro facendo la strada della sera prima per Kaierda e trovammo un civile di nome Erman molto gentile che ci diede ospitalità in casa sua in due camere al pian terreno. Sapemmo il giorno seguente che il piano superiore era occupato da quattro russi tra i 18 e i 20 anni. L’otto aprile era il giorno di Pasqua e pensammo di festeggiarla, ma verso sera fummo aggrediti da tedeschi in borghese armati di bastone, per fortuna riuscimmo a barricarci in casa. Erman andò subito dal borgomastro, che da noi è il sindaco, e non fummo più molestati. Il giorno seguente arrivarono gli americani e fecero capire ai tedeschi le conseguenze di altri gesti simili.

Restammo a Kaierda per tre mesi dove non facevamo altro che mangiare e dormire poi il 3 agosto 1945 ci venne comunicato dal centro che si trovava nel campo prigionieri di Delixce di recarci li perché sarebbe arrivata una colonna di camion americani che ci avrebbe portato in un’altra città distante trenta chilometri dove saremmo stati rimpatriati. Partimmo il 18 agosto per l’Italia”.

(continua…)

Alessandro Mazza

Alessandro Mazza

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