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a cura di Gianni Briganti

Gianni Briganti

Gianni Briganti

Sta per terminare la mostra “Darwin, l’universo impossibile”, allestita a Cesenatico da Dario Fo. Lo scopo è quello di accompagnare il visitatore in un percorso che racconti la vita e gli studi di Charles Darwin, il ricercatore che introdusse la teoria dell’evoluzione della specie. La mostra è stata subito accompagnata da polemiche che, forse altro non hanno ottenuto se non rendere ancora più accesi i riflettori sull’evento. In particolare in tanti hanno puntato il dito sulla irrispettosa immagine di un Dio ritratto di spalle col fondoschiena in bella vista.

L’ho visitata la sera stessa dell’inaugurazione e mi sono fatto una mia idea: sia sulla mostra, sia sull’irruente metro di giudizio che a volte, nella storia, ha distinto i nostri conterranei.

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foto cesenatico.it

Di immagini per raffigurare Dio, certo se ne potevano scegliere tante. Per quel poco che ho letto in un paio di libri sulla vita di Fo non potevo non aspettarmi qualche elemento irriverente; ha sempre sfidato la censura (di Stato allora, di popolo oggi) in modo molto sfacciato. Ma qui il suo prendersi gioco della censura popolare ha un doppio effetto di sberleffo; il primo attiene al creare scandalo proponendo un Dio, come detto, col fondoschiena in vista. Il secondo attiene al disorientare gli scandalizzati che prendano poi atto (semmai se ne fossero accorti) che l’immagine altro non è se non una riproduzione, di qualità artistica molto inferiore, di un’immagine di Dio dipinta da Michelangelo nel celebre affresco della Creazione ammirato da tutto il mondo sulla volta della Cappella Sistina da ben oltre 500 anni.

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foto wikipedia.it

Avrei anch’io qualche rilievo da fare sulla mostra, di tutt’altra natura, ma visto il mio livello di competenza artistica pari a quello di un semplice appassionato non è questa la sede opportuna; in fondo stiamo parlando sempre di un percorso che certamente vale la pena di visitare. Inoltre, grazie al contributo se non erro della Regione, l’ingresso è gratuito; chi si perdesse quest’occasione farebbe comunque male.

Questa vicenda è invece perfetta per richiamare un’analogia tra i nostri concittadini che si scandalizzano oggi con un nostro conterraneo che si scandalizzò ben quasi 500 anni fa: Biagio da Cesena. Discendente della nobile famiglia Martinelli di Cesena, lasciò la Romagna da giovane per trasferirsi a Roma dove diventò Cerimoniere Pontificio sotto papa Leone X.

Michelangelo aveva già realizzato, tra le tante opere, l’affresco della Creazione precedentemente citato ed era già una celebrità; un artista conteso e ammirato anche se comunque costantemente in competizione con gli altri grandi maestri del Rinascimento. Papa Paolo III gli commissionò quindi l’affresco della parete posta dietro all’altare della Cappella Sistina; quella che tutti avrebbero guardato durante ogni funzione religiosa. A Michelangelo viene data mano libera; decide quindi di proporre una sua interpretazione del “Giudizio Universale”, attingendo sia dalla Bibbia che da passi della Divina Commedia. Ne nasce un groviglio di corpi nudi, tra dannati in attesa delle fiamme dell’inferno e beati che ascendono in cielo.

fo2Giunto il momento di visionare l’opera papa Paolo III chiese un parere a Biagio da Cesena che, solo casualmente, si trovava con loro; il suo giudizio fu tuttavia una stroncatura. Una delle opere artistiche che nei secoli sarà tra le più ammirate al mondo venne apostrofata come “una pittura da stufe e d’osterie anziché propria di una Cappella Papale” (G.A.Guattani) e giudicò “essere cosa disonestissima in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi, che sì disonestamente mostrano le lor vergogne” (G.Vasari).

Michelangelo non la prende male: la prende malissimo. Decide quindi di immortalare per sempre il volto di Biagio da Cesena proprio all’interno del Giudizio Universale nel ruolo di dantesco Minosse. Minosse è il personaggio che all’Inferno, tramite un certo numero di giri di coda stabilisce quale girone assegnare ai dannati, ma nell’affresco viene dotato di orecchie d’asino e di un serpente che gli morde i testicoli. A nulla valsero le proteste verso il Papa per questo “aggiornamento” del personaggio; dopo quasi 500 anni ancora oggi possiamo scorgere il volto del nostro conterraneo.

Alessandro Mazza

Alessandro Mazza

Mi piace farmi gli affaracci vostri!

One Comment

  • Ravecca Massimo ha detto:

    Michelangelo Buonarroti potrebbe aver descritto la Passione di Gesù, pur non esplicitamente rappresentata nei suoi affreschi della Volta e nel successivo Giudizio Universale, tramite l’identità del supplizio e nella somiglianza fisica tra Aman crocifisso dipinto sulla Volta e il Gesù Giudice del Giudizio Universale. Michelangelo avrebbe così indicato tramite una somiglianza fisica, che allude a una somiglianza funzionale, e il medesimo supplizio, che Gesù sarebbe morto durante un carnevale ebraico, almeno per quanto riguarda la prima parte della Passione. Nel libro biblico di Ester, Aman primo ministro persiano scoperto che il suo rivale Mardocheo è ebreo, cerca di ucciderlo insieme con tutti i connazionali. Alla fine però sarà Mardocheo a far uccidere Aman sulla forca che preparò per lui. Gli ebrei nella festa religiosa carnevalesca di Purim ricordavano e ricordano tuttora, la salvezza degli ebrei e la morte del loro persecutore. Gesù sarebbe morto sulla croce interpretando (anche) il ruolo di Aman. Michelangelo, in tal modo anticipò di quattro secoli l’ipotesi dell’antropologo e storico delle religioni scozzese Sir James George Frazer (1854-1941) che con il suo lavoro: La crocifissione di Cristo del 1900 espresse per primo in modo formale e più approfondito tale ipotesi. Cfr. ebook/kindle: La Passione di Gesù negli affreschi di Michelangelo della Cappella Sistina.

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