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di Mario Pugliese

Il giornalista Mario Pugliese

Non posso fare a meno di sorridere quando i giornali locali pubblicano, con grande enfasi, la notizia di un arresto per coltivazione illegale di cannabis (l’ultimo a fine febbraio nella vicina frazione di Fiumicino). Per quanto i provvedimenti siano, a rigor di legge, tecnicamente ineccepibili, dietro a queste operazioni di polizia si nasconde infatti un paradosso demenziale che, ancora una volta – come per il tabacco, la prostituzione e il gioco d’azzardo – ci consegna l’immagine sconfortante di uno Stato ipocrita e incoerente.

Lo scorso anno, a Cesenatico, ci sono stati una dozzina di arresti per spaccio di marijuana (il caso più eclatante è stato quello di Aldo Z., coltivatore diretto di Sala che, nella sua tenuta agricola, custodiva oltre sette quintali di cannabis grezza).

Per arginare il fenomeno dilagante dello spaccio di marijuana, le forze dell’ordine locali organizzano, da anni, complesse attività investigative e di intelligence, con pedinamenti, intercettazioni, perquisizioni domiciliari, cani antidroga nelle scuole ed operazioni interforze che, con l’ausilio di unità cinofile, impiegano decine di uomini e mezzi.

Un dispendio di energie e risorse enorme ma, a conti fatti, viziato da una contraddizione illogica. Perché i semi della cannabis – forse non tutti lo sanno – oltre che ad Amsterdam e a Bogotà, sono liberamente venduti anche in Italia. In Romagna, in particolare, si trovano a Cattolica (1), Rimini (1), Ravenna (2) e Cesena (2). E basta recarsi in uno di questi negozi – assolutamente legali – per diventare, con poco meno di 100 euro, un piccolo spacciatore di “maria” (un seme costa attorno ai 4-5 euro).

In questi punti vendita si possono reperire tutti gli strumenti necessari (serre, concimi specifici e lampade alogene) per la coltivazione domestica della canapa indiana. I negozianti, a parole, sostengono di non istigare alla coltivazione di marijuana, ma intanto, con zelo e competenza, offrono tutta la consulenza necessaria per far crescere le piante più rigogliose, dimezzare i tempi di maturazione e curare eventuali malattie, indicando anche gli strumenti più all’avanguardia, come ad esempio quelli per la coltivazione dell’erba idroponica (lampada + acquario) che garantisce uno sballo ipnotico più intenso (un grammo di erba “idro” oscilla tra i 13 ed i 18 euro).

I semi in vendita, custoditi in frigo, a differenza di quelli che si trovano in natura, sono geneticamente perfetti: sono “femminilizzati” (il maschio non si fuma), auto-fiorenti (cioè non sono foto-dipendenti), hanno tempi ridotti di maturazione, sono coltivabili a qualsiasi temperatura e hanno un genoma modificato che assicura un’elevata percentuale di THC (fino al 20%), il principio attivo psicotico della cannabis.

Ora, la domanda sorge spontanea: perché si puniscono duramente i coltivatori e non chi “spaccia” i semi? Con un espediente esilarante, i granelli di canapa in vendita vengono definiti “da collezione” e questo basta per aggirare la legge sullo spaccio di droga. I semi, infatti, non contenendo THC, per la legge non sono ancora annoverabili tra le sostanze illecite.

E così, paradossalmente, chi viene beccato con un quintale di semi non rischia nulla, chi invece viene fermato con cinque grammi di erba, incorre in una denuncia (e a volte l’arresto) per spaccio di sostanze stupefacenti, un capo d’imputazione che, codice alla mano, prevede pene da 6 ai 20 anni di carcere. Quindi, sintetizzando: da una parte, lo Stato consente il libero smercio della cannabis e, dall’altra, ne punisce severamente l’utilizzo. Proprio come il bigotto gesuita che con una mano prega e con l’altra ruba.

Per saperne di più: www.canapajo.it oppure www.growshop-cesena.it.

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