Ode e gloria al San Domenico con buona pace dei poveri di spirito secondo cui la «cultura non porta soldi, non porta voti». Non infierirò.
Veniamo a noi.
Prima ragione. Vedere le foto icone di Erwitt dal vivo è tutta un’altra cosa che vederle su manifesti, depliant, libri, internet.
Seconda ragione. Ci sono molte immagini non particolarmente note, ma molto interessanti che mostrano un Erwitt molto portato per la streetphotography. Immagini, le uniche, tra i tanti nomi della galassia dei big, che si avvicinano alla regina Vivian Maier. Anche se c’è stata una sola portatrice della sua geniale pazzia.

Questa immagine è particolarmente nota, quella che segue no. Altre non le ho riportate ma meritano senza dubbio
Terza ragione. A.s.s. L’alter ego di Erwitt per sbeffeggiare il mondo dell’immagine commercialmente costruita al computer. Come a dire: “Sono foto senza troppo senso, ma il mondo le vuole e io gliele do. Ma prendendo tutti per il culo”. Ass appunto.
Ma è sul però che mi voglio soffermare. La mostra è perfetta nei dettagli e molto curata. In stile San Domenico. Però è molto, forse troppo pop. Alt un passo. Ricordate (QUI L’ARTICOLO) qualche settimana fa quando abbiamo parlato di un Erwitt a cavallo tra la storia e la sociologia?
Erwitt è uno dei fotografi che ha consegnato alla storia immagini pungenti e crude del razzismo, della segregazione, della stupida e ignobile differenza tra un bianco che può bere da un bel rubinetto pubblico e un nero che deve accontentarsi di bere da un tubo.
Questa fetta di vita e di immagini è rimasta in ombra. Molto, troppo spazio ai cani di Erwitt. Come a dire che oltre ai quadrupedi il resto è stato un hobby o un lavoro passeggero per contenuto e impegno. Oltre i cani c’è molto di più.