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Gli stralunati e indimenticabili anni ’80 hanno forgiato il pittore ragioniere. Aveva 30 anni quando Gilberto Olivi ha accantonato la certezza dei numeri per inseguire l’equilibrio astratto dei colori. Nel mezzo un trascorso da stilista di abiti, scarpe e costumi.

“C’era da fare i soldi all’epoca. Alcune aziende di moda mi avrebbero pagato anche l’appartamento oltre a 800mila lire al mese pur di avermi con loro a Roma, Bologna o Modena. A Milano mi aveva dato appuntamento anche la sorella di Gianfranco Ferrè, ma ho rifiutato. Avrei potuto andare anche a New York, ma non me ne fregava niente, io volevo stare a Cesenatico, di trasferirsi non se ne parlava”.

Poi è arrivato il momento inaspettato, quello da cui tutto ha preso una piega diversa: la magia. “Avevo 32 anni, un mio amico mi chiese si realizzare dei pannelli per coprire il bancone del suo bar che non gli piaceva. Mi ha riempito la casa di colori e, a lavoro finito, ne avevo ancora in abbondanza così ho fatto dei quadri per casa mia. Poi Massimo di Bartolomeo li ha visti e li scelti per una mostra in Comune. Ho iniziato a venderli e non ho più smesso di dipingere. C’è stata una concatenazione di eventi che a pensarci sembra incredibile”.

Le bevitrici di assenzio

Una carriera iniziata per caso che ha toccato livelli unici come quando ha decorato un casco di Valentino Rossi indossato dal campione di Tavullia nel giro d’onore per celebrare la vittoria in Brasile nel 2002.

Da bambino che lavoro volevi fare?
“Il calciatore, ero il numero 10, il fantasista. Alla fine tutto torna. Matematica e arte sono molto vicine. Con i cinque colori fai tutto e con sette note componi tutto. Note e colori hanno un principio matematico nella loro concatenazione: i colori non li puoi buttare giù a caso, l’equilibrio nell’astrattismo è difficilissimo da raggiungere. È una ricerca di vuotipienicoloricaldicoloriscuri che per fortuna mi viene naturale; è un istinto che non so spiegare. È la ricerca di un tono che non si può fare senza regole”.


Ditemi se non notate una colorata anarchia di colori equilibrati. E notate anche l’assonanza tra i colori e gli oggetti di arredamento.

Davanti alla tela nuda, da che parte inizi?

“Il bianco non è facile da aggredire. Mi faccio ispirare dalla natura e dai colori che mi stupiscono in essa. Il concetto è sempre lo stesso: voglio dare energia e positività, devo fare lavori che siano raggi di sole. Quando vedo un mio quadro devo stare bene, questa è la mia filosofia di pittura. Poi è successo che a volte qualcuno li ha appesi anche a rovescio…”

Da chi prendi ispirazione?
“Mi piacciono i primi ragazzi che hanno iniziato a fare cose un po’ strane: Mirò, Matisse, Picasso, Kandinskij anche se non li ho mai studiati nel dettaglio. A volte penso a Cesenatico, se fosse possibile sbloccare la situazione dell’ex lavatoio… lì si potrebbero fare delle cose pazzesche”.

Un personaggio del passato che vorresti far tornare in vita?
“John Lennon, gli direi di fare musica senza rompere troppo con le cause sociali. Tutte battaglie giuste, ma lui era nato per fare musica”.

Hai rifiutato proposte di lavoro pur di non spostarti. Oggi dove vorresti essere?
“Se tornassi 29enne andrei a New York”.

Alessandro Mazza

Alessandro Mazza

Mi piace farmi gli affaracci vostri!

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