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Disordini sociali. Dopo oltre 40 giorni di quarantena è uno dei grandi spauracchi del Governo. Dopo qualche episodio registrato nel fine settimana qua e là nelle periferie di alcune metropoli italiane, i moti di ribellione della gente cominciano a preoccupare seriamente l’establishment della politica.

Dietro ai proseliti della disobbedienza civile, va detto, ci sono spesso gruppi anarchici o eversivi che, in questo contesto di disorientamento sociale, potrebbero trovare condizioni ambientali mai così favorevoli. Ma tra la gente che scende in strada violando i decreti ci sono anche tanti disperati che, in questa pandemia, hanno perso tutto, che non credono più alle veline di Stato, che non si accontentano del bonus-spesa e che, senza un euro in tasca, gridano al complotto planetario.

Parlano di “diritti costituzionali violati”, di “nuova dittatura” di “violazione sistematica della privacy”, di “esperimento politico di terrorismo psicologico di massa”. Intercettano sui social l’insofferenza della gente e, spigolando tra ignoranza e populismo, ne fanno il principio cardine della loro delirante battaglia.

Prima erano voci solitarie, posizioni emarginate. Poi, come spesso capita, il dissenso si coagula, si struttura e, grazie alla viralità dei social, diventa progetto. E così, soprattutto su Telegram (una chat in grande espansione molto simile a whatsapp), sta rimbalzando l’appello che tutti temevano.

La data è quella del 25 aprile, guarda caso festa nazionale della Liberazione. L’appuntamento è per le ore 17, quando – si legge nell’invito – tutti scenderemo in strada con la bandiera italiana, i fischietti ed i megafoni. “Chi vuole partecipare in auto – scrivono i rivoltosi – faccia sentire forte il rumore del clacson. Chi scende in strada, invece, lo faccia con pentole e padelle”.

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