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di Clara Bordoni

Quando ero piccola, in una via centrale di Milano, c’era la sartoria della mia nonna Elvira Talamona. Le clienti che venivano da noi dicevano: “Signora Elvira, lei sa fare le scarpe alle mosche”.

Mi chiamo Clara Bordoni e sono cresciuta in un piccolo mondo fatto di tessuti, di aghi, di fili e di manichini per le prove. Lì ho imparato a cucire e anche bene, tant’è che fatto la sarta per tutta la vita. Nella sartoria posta al primo piano di via Mulino delle Armi, di fronte al naviglio, ora coperto, venivano a trovarci clienti facoltose, proprietarie terriere che volevano farsi vestire dalle Talamona.

Ora vi racconto una storia:  quella del tacchino di Natale.

Era d’uso, a quei tempi, saldare nel periodo natalizio i lavori sartoriali. Una cliente molto benestante ci mandò in calesse il suo maggiordomo che portava un bel tacchino grasso proveniente dalla sua fattoria. La bestiola aveva le zampe legate con uno spago. Una volta entrato in casa il maggiordomo lo liberò ma il tacchino, ansioso com’era di cambiar aria, visto che lì non si prospettava una bella fine, pensò di lanciarsi contro la vetrata che dava sul naviglio e lì planò. Non potete immaginare che scompiglio creò quella visione: un tacchino bello in carne che nuotava amabilmente nell’acqua del naviglio proprio la vigilia di Natale! Faceva gola a tanti ma solo un coraggioso ragazzo si tuffò nelle acque gelide riportando il fuggiasco a casa nostra. Si meritò un bel premio oltre a un piatto caldo e vestiti asciutti.

Nel 1930 il naviglio che accompagnava la banchina della via venne coperto. Dalla finestra della sartoria non vedevo più lo scorrere dell’acqua ma un nero asfalto sul quale qualche automobile cominciava a passare. La mia piccola Venezia non c’era più.

Il lavoro nell’atelièr proseguiva e sotto la guida attenta della nonna io diventavo sempre più competente tant’è che non mi affidavano più gli orli ma iniziavo a confezionare abiti, anche quelli da sposa. Un volta una signora portò una pelliccia di astracan nero, il pelo era stupendo ma la forma era decisamente fuori moda. La nonna, maestra del cucito, la prese in carico: tagliò a fette tutto il capo, alternando una fetta di pelo ad una di tessuto fino a confezionare una pelliccia nuova che la cliente apprezzò tanto.

Io guardavo e imparavo a muovere le mie dita su quei tessuti magici: mussoline, sete, organza, taffetà, broccati mi circondavano e mi avvolgevano con i loro fruscii. Solo quando partecipai alla prima sfilata con i nostri modelli iniziai a capire che il sogno si era trasformato in realtà, e questa è stata la mia vita!

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