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“Imbarazzo, fastidio, rabbia”. Così la giornalista di lifestyle Marianna Tognini, dalle pagine del mensile Rolling Stone, apre la sua recensione-stroncatura sulla serie di Netflix “Summertime”.

Al grido di “Cara Romagna mia, perché ti disegnano così?”, la giornalista romagnola (così si definisce lei stessa benché nata a Bologna) – dopo aver visto tre solo puntate – si dichiara “molto arrabbiata” perché la serie, a suo dire, offre uno spaccato sbagliato di questa terra “costretta a tenersi in equilibrio tra lo yuppismo di ieri e il politically correct che si dà in pasto alle generazioni di oggi”.

Sulle pagine del prestigioso periodico di musica fondato oltre 50 anni fa, Marianna punta l’indice contro la serie Netflix, colpevole di aver ridotto la bella Cesenatico in “una città di sfigati, che tutta l’estate attrae maree di sfigati da tutti i posti più sfigati del mondo”.

La giornalista è parecchio arrabbiata “perché – scrive – la mia terra è stata data in mano a sceneggiatori e registi che evidentemente in Romagna non c’avevano mai messo piede; a degli attori che manco si sono sforzati di imparare l’accento romagnolo (che è diverso dal bolognese); a colori saturi e a storielle della profondità d’una pozzanghera, dato che la Romagna pare così, leggera e prevedibile”.

Un caso? Assolutamente no. Secondo Marianna – fatta eccezione per Fellini (Amarcord, ma soprattutto I vitelloni), Zurlini (Estate violenta, La prima notte di quiete e La ragazza con la valigia) e Risi (L’ombrellone) – “la mia Rumâgna è quasi sempre stata bistrattata a destra e a sinistra. Nel decennio successivo, pellicole come Acapulco, prima spiaggia a… sinistra, Abbronzatissimi e Rimini Rimini l’hanno poi svilita e strapazzata, tramutandola nella patria di tettone, tamarri e arrapati, dove regnavano indisturbate la comicità a buon mercato e le volgarità da bar di provincia. Milanesi e bolognesi si riversavano in Romagna per cuccare e mangiar bene – che per carità, in parte ci stava, ma già allora risultava un po’ riduttivo – attorniati da donnone procaci e contribuendo così a creare un (falso) mito: Rimini e Riccione stanno alla figa come Milano sta all’aperitivo”.

Dov’è dunque – si chiede al termine del suo brillante articolo – la vera Romagna? “Perché siamo passati da Rimini Rimini direttamente a Summertime senza nulla lì nel mezzo? Perché la Romagna è costretta a tenersi in equilibrio tra due estremi opposti, la volgarità idiota e grossolana di matrice yuppista da un lato e il politically correct che si dà in pasto a millennial e Generazione Z dall’altro? Qualcuno presto o tardi le renderà giustizia e la racconterà come merita d’essere raccontata?”.

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