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La chiesa perdona i suoi pastori. Anche quelli che, nell’esercizio delle loro funzioni sacerdotali, hanno ceduto alle più invereconde tentazioni terrene macchiandosi non di semplici peccati, ma di veri e propri reati.

E così, ieri mattina, nella cattedrale di Cesena, si sono svolti – con tutti gli onori della Chiesa – i funerali di don Giuseppe Giacomoni, l’ex sacerdote della parrocchia di San Giacomo morto a 95 anni e finito nel 2006 sulla ribalta delle cronache nazionali per un’indagine di sfruttamento della prostituzione minorile. Accuse gravissime di abusi confermate da una condanna in Cassazione a sei anni ed otto mesi di reclusione (ne scontò in carcere appena due per sopraggiunti limiti di età).

Una cosa però è il castigo terreno, un’altra è il giudizio divino. E così, al di là degli inciampi dell’uomo, le autorità diocesane hanno deciso di tributare a Don Giacomoni, nativo di Montescudo, il massimo degli onori ecclesiastici: le esequie in cattedrale officiate dal vescovo Douglas Regattieri in persona.

La decisione della Diocesi ha ovviamente diviso l’opinione pubblica: da una parte chi chiedeva una maggiore sobrietà liturgica per il commiato di un prete che si era macchiato di così gravi reati, dall’altra le ragioni della Diocesi che, mettendo il sacerdote davanti all’uomo, ha semplicemente applicato il rito delle esequie per i pastori della Chiesa.

 
 
 
 

Dopo la condanna Don Giacomoni aveva vissuto all’Opera Santa Teresa del Bambin Gesù, a Ravenna. Fino a quando, martedì scorso, è spirato all’ospedale di Ravenna, dopo un ricovero di qualche giorno e le complicanze sopraggiunte per il contagio da Covid.

Negli anni Novanta era stato parroco di San Giacomo a Cesenatico e aveva poi svolto il suo ministero anche a Villalta e dato una mano nella parrocchia di Gatteo.

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