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Diciotto anni dopo quella ferita resta ancora aperta. E non c’è dubbio che non si rimarginerà mai. Perché, quando al dolore atroce per la perdita di un figlio, si salda la rabbia di una piccola bara bianca trafugata, il tempo che passa e che – a volte – asciuga le lacrime, in certe situazioni non serve a niente.

Ce lo ha ricordato la scorsa settimana Salvatore Bagni che, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, ha ripercorso il dramma della morte del figlio Raffaele che, a soli 3 anni, rimase ucciso da un guardrail dopo un incidente stradale che, nella dinamica, non sembrava neppure così tragico.

“Persi mio figlio quando non aveva compiuto nemmeno 3 anni – ricorda Bagni – era il 3 ottobre 1992. Io ero alla guida della mia Mercedes, fu decapitato dallo scoppio dell’airbag. Il percorso per risollevarmi da quel dramma è stato lungo, complicato e forse mai definitivamente compiuto”.

Poi la rivelazione inedita: “Se ho mai pensato a un altro figlio dopo la sua morte? Non ci sarebbe stato nulla e niente che avrebbe potuto sostituirlo, io e mia moglie Letizia ne eravamo convinti. E così – svela – presi una decisione. All’epoca non era neanche legale, però fui determinatissimo: non avrei voluto altri figli neanche per errore. Così, poco tempo dopo l’incidente, mi ricoverai in una clinica a Ravenna per sottopormi a un intervento di sterilizzazione”.

Poi, esattamente un mese dopo, il 3 novembre del 1992, al cimitero di Cesenatico, il furto della bara. E qui il dramma diventa terrificante e si salda ad una rabbia che non può essere spiegata: “Purtroppo – ricorda – convivo col dolore di non poter andare a piangere sulla bara di mio figlio: la salma fu trafugata dal cimitero. Mi lasciarono la foto della bara sul parabrezza dell’auto in un giorno di nebbia, volevano un riscatto (300 milioni di vecchie lire). Sembrò tutto così assurdo. Un mese con i carabinieri in casa, aspettando una telefonata. Vi fu solo silenzio. Io penso che Raffaele ci sia, ogni giorno, il problema non è quel corpo che non è più al cimitero perché io ho fede. Sono trascorsi tanti anni, ancora spero che un giorno qualcuno di quei rapitori, perché saranno stati almeno quattro per mettere a segno quella cosa orribile, dica cosa accadde”.

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