A seguito delle numerose restrizioni per fronteggiare la diffusione epidemiologica da Covid-19, sono diventate numerose le imprese che non sono più in grado di adempiere alle obbligazioni contratte prima del manifestarsi dell’attuale pandemia (canoni di locazione, affitti d’azienda, pagamenti di forniture…); questo comporterà che la platea dei soggetti coinvolti all’interno di una presunta “lite” sarà inevitabilmente di dimensione enorme.
Proprio per questo risulta necessario fornire risposte certe e rapide a tutti i nuovi bisogni dei soggetti interessati, soprattutto se si considera che il decreto Cura Italia ha paventato un concreto e futuro aumento della conflittualità per tutti quei rapporti giuridici sorti prima o in costanza dell’emergenza sanitaria, ai quali si aggiungono anche i tanti altri rapporti giuridici già da tempo in essere, che a causa delle restrizioni citate sono andati ad incrinarsi notevolmente.
“Contestualmente alla crescita della conflittualità si è verificata la sospensione di parecchie attività giudiziarie (si è parlato di “Giustizia bloccata”), con un inevitabile ingolfamento della macchina giudiziaria – spiega l’avvocato cassazionista, Enrico Sirotti Gaudenzi – Ritengo che in questo scenario la mediazione civile e commerciale possa essere la giusta risposta per risolvere in breve tempo tutte le controversie citate e deflazionare il contenzioso pendente presso i numerosi Tribunali del nostro Paese”.

“A tal proposito alcuni recenti provvedimenti in ambito di giustizia hanno ampliato le materie per le quali è previsto il preventivo e obbligatorio tentativo di conciliazione, al fine di sfruttare al meglio l’istituto della mediazione e trovare una rapida, economica, condivisa soluzione a tutte le controversie sorte a causa delle attuali restrizioni, introducendo peraltro la possibilità di svolgere gli incontri di mediazione in modalità telematica – continua Sirotti Gaudenzi – Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che i costi e i danni economici che ha comportato la pandemia da Covid-19 non sono ad oggi ancora stimabili”.
L’impatto della crisi sulle imprese è stato di intensità straordinaria, determinando seri rischi per la loro sopravvivenza delle stesse: “Il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno – continua l’avvocato – Da un’indagine Istat svolta sulle imprese sopra i 3 addetti, si apprende, poi, che il rischio di chiusura è più alto tra le micro-imprese (pari al 40,6%) e le piccole (pari al 33,5%), ma è significativo anche tra le medie (pari al 22,4%) e le grandi imprese (pari al 18,8%). La pandemia, inoltre, ha creato un milione di nuovi poveri, che sono individuati tra commercianti, artigiani e imprenditori; per tutti questi soggetti potrebbe essere utile regolare, tramite l’istituto in esame, le numerose situazioni critiche che potrebbero sfociare in un prossimo contenzioso”.