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La criticità più pericolosa, secondo le nuove tesi del Governo, sarebbe l’asporto nei bar dopo le 18. Quella norma, infatti, ha maglie interpretative un po’ troppo larghe e dunque – secondo l’Esecutivo – lo “spritz da asporto” offrirebbe il pretesto per creare momenti di socializzazione e, a volte, di assembramento. Per questo, nelle norme del nuovo Dpcm che entrerà in vigore il 16 gennaio, c’è anche l’ipotesi di varare una stretta anti-movida, vietando l’asporto dalle 18 esclusivamente per i bar (ma non per le pizzerie) e consentendo solo le consegne a domicilio.

Si tratta, va detto, per ora solo di un’ipotesi anche se – pare ormai certo – che il nuovo impianto normativo – con la curva dei contagi che non rallenta – conterrà restrizioni ancora più stringenti.

A parte la conferma del coprifuoco alle 22, si profila infatti il prolungamento del divieto di spostamenti anche tra Regioni “gialle”. Unico elemento di ottimismo l’inserimento di una “zona bianca” nelle aree a minore contagio (con Rt sotto 0,5) con libertà di spostamento e con tutte le attività aperte, in pratica in ritorno all’era pre-Covid. In fascia bianca si potrebbero infatti riaprire i luoghi della cultura, come musei, teatri, sale da concerto e cinema. I bar e i ristoranti lavorerebbero senza limiti di orario e anche piscine e palestre tornerebbero a funzionare a pieno ritmo. Sempre però mantenendo le regole base di contenimento, come mascherina obbligatoria, distanziamento e divieto di assembramento.

 
 
 
 

Nella riunione di ieri sera si è ragionato anche sulla proposta avanzata dall’Istituto superiore di Sanità e condivisa dal Comitato tecnico scientifico: se l’incidenza settimanale dei casi supera i 250 casi ogni centomila abitanti, la Regione è automaticamente in zona rossa. Ma il cambio di parametri non piace alle Regioni. Ecco perché sia sulle soglie dei parametri che decreteranno i colori delle zone che sulla durata del nuovo Dpcm che sarà in vigore dal prossimo 16 gennaio si deciderà dopo il vertice con le regioni e le comunicazioni al Parlamento del ministro della Salute, Roberto Speranza, il prossimo 13 gennaio.

Intanto, in base ai dati dell’ultimo monitoraggio (relativi alla settimana dal 28 dicembre al 3 gennaio – ma il trend è in peggioramento), con il cambio dei parametri ipotizzato il Veneto sarebbe rosso, visto che ha un’incidenza di 453,31 casi, mentre l’Emilia Romagna con 242,44 casi, rimarrebbe di poco fuori.

Al tavolo di confronto tra governo e Regioni già si annunciano fibrillazioni nonostante l’esecutivo abbia fatto sapere che il governo garantirà i ristori a tutte le attività che a causa delle restrizioni resteranno chiuse. Ai governatori le modifiche non piacciono: l’automatismo, è il ragionamento, potrebbe finire per penalizzare le regioni più virtuose, quelle che fanno il maggior numero di tamponi. Il presidente dell’Emilia-Romagna e della conferenza delle RegioniStefano Bonaccini è stato netto nella bocciatura della proposta: “Quel limite – ha detto – non l’ha chiesto nessuna regione e, se volete la mia impressione, non entrerà fra quelli utilizzati per decidere la colorazione o lo spostamento delle Regioni”.

In ogni caso, la volontà ormai certa del governo è quella di stringere ulteriormente le maglie. Anche e soprattutto per evitare che un’impennata dei casi vada a compromettere la campagna di vaccinazioni. Appare scontata la decisione di prorogare lo stato di emergenza almeno fino al 30 giugno. Un regime che consente l’emissione dei Dpcm e delle ordinanze del ministro della Salute e una serie di provvedimenti attribuiti proprio alle Regioni per procedere d’urgenza, ma anche di far proseguire lo smart working dei dipendenti pubblici.

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