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Qualcosa di stonato c’è in questa situazione che si è creata. Non si sente mai parlare di una categoria che si fa sentire per definizione, ma che pare avvolta da un triste silenzio. Strada tutt’altro che in discesa per i musicisti professionisti che lavorano in orchestre, con proprie band o al seguito di artisti. “La cultura è un dessert, in tempi di crisi se ne fa a meno” è un triste adagio che spesso è circolato nelle stanze dove si devono far quadrare i conti. Dal canto suo però Cesenatico è una storica fucina di musicisti professionisti e abbiamo deciso di dar voce ad alcuni di loro per capire cosa vuol dire stare lontano dal palco per quasi un anno.

Al lavoro per creare un sindacato

Fabio Nobile

Fabio Nobile, noto batterista di Cesenatico entra subito nel merito della questione. “Durante questo anno parecchi musicisti, me compreso, si sono adoperati per cercare di stabilire un ordine e ridare dignità ad una categoria che è stata completamente dimenticata cercando di formare un sindacato che ancora non abbiamo. Per ora è stato creato un codice deontologico del musicista, la strada è ancora lunga ma mi sembra di capire che avremo ancora tempo per lavorarci, prima che ricominci lo spettacolo. Certo è che per la categoria arte e spettacolo il sistema previdenziale italiano è fallimentare. Lo è da sempre, ma fino a che c’era lavoro la passione vinceva sulla burocrazia, sempre poco ben vista dagli artisti”.

“La percentuale di lavoro – spiega – per un musicista professionista è calata del 70% rispetto agli anni precedenti. Negli ultimi 4 mesi del 100%”. Ma c’è spazio per una nota meno amara. “Ho lavorato molto da casa, la prima chiusura totale di marzo 2020 mi ha portato ad incidere un nuovo disco con mio fratello Luca, a dicembre il covid mi ha costretto in casa un mese ed ho iniziato a scrivere il mio metodo/libro per batteria. Com’era? Non tutti i mali…”.

Il teatro vuoto è la morte della musica

Thomas Cavuoto

“Vedere un direttore d’Orchestra che fa alzare i musicisti per l’inchino senza il pubblico in sala è tristissimo. Lo streaming – spiegaa Thomas Cavuoto la viola di Cesenatico – non è la soluzione, è un piccolo escamotage temporaneo. Con lo streaming il Teatro esce dalla cassa integrazione e i dipendenti possono avere lo stipendio pieno, ma non c’è, da quel che ho notato, questo riscontro di pubblico così elevato. Anche perché vedere il teatro vuoto è la morte della musica. I concerti dal vivo con il pubblico sono insostituibili; pensate all’Opera senza inchini, senza applausi… è deprimente“.

“Nel settore – aggiunge – siamo tutti in difficoltà e si parla di sopravvivenza. Ci sono molti giovani che studiavano musica ad alti livelli e che ora fanno i rider per portare le pizze. <Stessa situazione in molti paesi esteri se non addirittura peggiore per la mancanza di ammortizzatori. Come si impiega il tempo? A casa e studiare ma senza un obiettivo; manca quell’alchimia che c’è tra pubblico, musicisti e teatro. È una ricetta insostituibile, come fare la carbonara senza le uova. Magari la fai, ma non dà lo stesso gusto”.

C'è ancora chi pensa che fare il musicista non sia un lavoro

Chicco Capiozzo
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Chicco Capiozzo, noto batterista di Cesenatico racconta la sua esperienza. “Alcuni comuni, come Ravenna, hanno iniziato a fare dei video concerti tra dicembre e gennaio dando 500€ a musicista con regolare fattura. Si tratta di lavoro oltre che un gesto di diffusione di cultura. Chiamarli a esibirsi insieme per la città per me è stato un atto molto nobile per sostenere la categoria dei musicisti professionisti. La mia esperienza? Il mio ultimo concerto è del 24 febbraio, qualcosa si è ripreso in estate ma la categoria è pressoché ferma. Io avevo la tourné con Mario Biondi e su 99 concerti ne abbiamo fatti circa 10. Secondo me con i dovuti distanziamenti e controlli qualcosa si sarebbe potuto fare sul versante delle esibizioni”.

“Indennizzi? Un bagno di sangue: 600 euro ad aprile e 600 euro a marzo e stop. Per il resto ad ora nessuno ha avuto altro da nessuna parte. Scontiamo un pregiudizio: molti pensano che fare il musicista non sia un lavoro. Pochi capiscono che dietro ad un concerto ci sono più categorie di lavoratori: dalle agenzie ai tecnici audio, chi monta i palchi. Tradotto? Tante famiglie a casa”.

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Alessandro Mazza

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