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Anche in Romagna i ristoranti provano a “riciclarsi” e a diventare mense aziendali. Una formula che consente di continuare a lavorare, seppur con una platea di clienti più ridotta e selezionata.

Ma all’interno della categoria non tutti hanno capito il senso reale di questa conversione e, negli ultimi giorni, soprattutto nel cesenate e nel riminese, è scoppiata la polemica.

Per alcuni, infatti, si tratta di una formula legittima e assolutamente conforme alla legge; per altri una comoda scorciatoia per aggirare i divieti del Dpcm e tornare a svolgere, anche in fascia rossa, la propria attività.

Diciamo subito che trasformare un ristorante in mensa aziendale non è semplicissimo. Serve infatti una documentazione specifica e qualche passaggio che non può essere eluso.

 
 
 
 

In primis, deve esistere un regolare contratto tra ristorante e azienda, con convenzioni per il pranzo nei giorni lavorativi. Inoltre, il locale non sarà mai accessibile a tutti, ma deve essere stilata una lista con i nomi dei lavoratori che usufruiscono del servizio e che deve essere mostrata in caso di controllo (a tal riguardo precisiamo che sono escluse le partite Iva). Alcuni comuni, per altro, richiedono una Scia, ovvero una segnalazione certificata di inizio attività.

In ogni caso, la legge consente questa formula, a patto che – come detto – si rispettino delle norme ben precise. Il servizio mensa certamente non risolve i problemi delle attività, ma può contribuire ad arginare le perdite. E di questi tempi piuttosto che niente…

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