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Mercoledì prossimo si torna a scuola, almeno fino alla prima media. Sarà così in tutta Italia, anche nelle zone rosse (in quelle arancioni si torna in presenza fino alla terza media).

Una bella notizia per il mondo studentesco, ma non è detto che sarà sempre e dovunque così. Si era detto che nelle zone rosse non ci sarebbero stati margini di discrezionalità per i governatori che, anche nelle situazioni più critiche, non avrebbero più potuto zittire la campanella. E, invece, la versione definitiva del decreto anti Covid introduce un’eccezione che, a conti fatti, concede ai presidenti di regione la possibilità di fermare la scuola nei casi di forte recrudescenza dei contagi nella popolazione studentesca.

“I provvedimenti di deroga – si legge nel decreto – sono motivatamente adottati sentite le competenti autorità sanitarie e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, anche con riferimento alla possibilità di limitarne l’applicazione a specifiche aree del territorio”. Insomma, non basterà un paio di casi per chiudere gli istituti scolastici ma, poiché la norma non contiene riferimenti precisi, è chiaro che tutto tornerà nella discrezionalità dei governatori e di quelle autorità sanitarie che, quasi sempre, in caso di focolai, si pronunciano sempre per la chiusura.

 
 
 
 

Non solo. Restano ampi margini di discrezionalità nelle regioni arancioni. Dove le deroghe non sono vietate dal nuovo decreto, che consente ai presidenti delle regioni di “disporre l’applicazione delle misure stabilite per la zona rossa”, nonché “ulteriori, motivate, misure più restrittive nelle province in cui l’incidenza cumulativa settimanale dei contagi sia superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti” e “nelle aree in cui la circolazione di varianti di SARS-CoV-2 determini alto rischio di diffusività o induce malattia grave”.

 

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