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Lo chiamano “cat-calling” (letteralmente “chiamare il gatto”), un neologismo anglofono che, tradotto, significa “molestie da strada”, ovvero quel colorito campionario di commenti indesiderati, gesti, strombazzi, fischi, inseguimenti e avance sessuali persistenti che, da sempre, tormentano (o lusingano) le donne che passeggiano.

In Romagna, terra di Zanza e cuccadores, questo “tic” sociale è molto diffuso e, anche se Giacobazzi su quella ancestrale villania ci ha costruito la comica caricatura del playboy nostrano, i tempi cambiano e – a furia di campagne di sensibilizzazione – anche il folcloristico “fischione da strada” è diventato reato.

Al radicale cambio di costumi plaude, dubbiosa, l’altra metà del cielo, stanca di ricevere avance indesiderate o di cambiare strada non appena intravede all’orizzonte il classico latin-lover con la camicia sbottonata e il catenone d’oro al collo che luccica tra il petto villoso. C’è però qualche eccezione, ovvero qualche voce – e che voce! – che, un po’ allergica al politically correct – non esita ad uscire dal coro.

“Ma davvero adesso un uomo che fa un apprezzamento senza cadere nella volgarità commette un reato?”. Se lo chiede Luana Babini, iconica cantante romagnola, una delle voci più celebrate della nostra musica.

 
 
 
 

Simbolo di una veracità romagnola in cui il “maschio Alfa” dovrebbe essere “specie protetta”, Luana si scaglia decisa contro il fondamentalismo di alcune campagne a favore della donna che, in realtà – sostiene lei – “stanno oltrepassando ogni limite”.

“Io sono basita – tuona Luana sulla sua pagina Facebook – è assurdo pensare che ci siano donne che denuncerebbero gli uomini per un semplice complimento. A me sembra che stiamo passando ogni limite!”. 

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valentino menghi
 
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