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Se ne parla (troppo) poco, come se alla fine una soluzione – di riffa o di raffa – si troverà. E invece il futuro delle spiagge è oggi il principale problema del turismo romagnolo.

Venerdì scorso la Commissione europea ha ricordato a Mario Draghi che l’estensione fino al 2033 delle concessioni balneari è un atto illegittimo. C’è una procedura di infrazione in corso e non si può fare finta di nulla.

Il Governo sa bene come stanno le cose perché la lettera di messa in mora di Bruxelles è arrivata a dicembre e la risposta del governo, presieduto allora da Giuseppe Conte, non aveva certo chiuso la questione.

Il problema è che i soldi del Recovery sono legati alle riforme e nelle riforme – è il diktat dell’Europa – bisogna fare un passo in avanti sulle concessioni, da inquadrare “in un’ottica di maggiore apertura e concorrenza”. Mario Draghi, per il momento, è riuscito a tenere fuori quelle che riguardano il balneare dal piano da 248 miliardi, ma il problema non è risolto. E si chiama sempre Bolkestein, la spada di Damocle che dal 2006 pesa sulla testa dei balneari.

In ballo c’è il futuro di 30mila imprese titolari delle concessioni, quelle che gestiscono gli stabilimenti sulle spiagge di mari, laghi e fiumi o che noleggiano pedalò e canoe (circa 300mila lavoratori).

L’Italia, come noto, si è sempre rifiutata, nei fatti, di recepire quella direttiva che porterebbe un vero tsunami sulle nostre spiagge, ma adesso il momento delle proroghe sembra finito e Mario Draghi, volente o no, dovrà affrontare la questione perché Bruxelles non ha cambiato idea rispetto a quattro mesi fa e dunque l’Europa si aspetta dall’Italia il rispetto delle leggi. 

Il vecchio governo, sulla scia di quelli precedenti, ha difeso la scelta di prorogare le concessioni balneari fino al 2033, ma l’Europa non ci sta e l’alibi del Covid (che ha permesso di prendere tempo) sembra ormai scaduto.

Nessun Governo, dal 2006 ad oggi, è riuscito a risolvere la questione. Si è andati avanti a colpi di proroghe, fino a quando l’Europa ce l’ha permesso. Ma, ora, con i miliardi del Recovery sul tavolo, Bruxelles ha già fatto capire che la politica delle proroghe è finita.

Dunque, cosa accadrà? Da una parte i titolari delle concessioni, attività a conduzione familiare che, specie nella nostra Romagna, si tramandano le spiagge da padre in figlio. Dall’altra il fronte di chi sostiene che le spiagge – che sono un bene pubblico – non possono essere “territorio di pochi”, che i canoni sono bassi e che la libera concorrenza dev’essere applicata in ogni ambito della nostra economia.

 
 
 
 

Le concessioni, lo ricordiamo, sono scadute nel 2020 e dunque servirebbe un decreto ponte “per salvare l’estate”. Se n’è parlato a Palazzo Chigi ma, alla fine, non si è fatto nulla. Doveva essere inserita nel decreto Proroghe approvato dal Consiglio dei ministri, ma il tema non è stato neppure sollevato. Secondo il ministro del turismo Garavaglio “non serve”.

Le concessioni, in teoria, possono essere rinnovate fino al 2033, ma non tutti i Comuni hanno seguito la legge. Alcuni hanno dato il via libera alla proroga, altri no, altri ancora l’hanno fatto ma per un periodo di tempo limitato. Negli ultimi due casi perché ritengono che la questione dell’infrazione europea scavalca la decisione assunta già nel 2018 e attualmente in vigore, quella cioè della proroga fino al 2033. E così molti di questi casi sono finiti davanti al Tar e i tribunali amministrativi, a loro volta, si sono divisi: chi, come il Tar di Lecce, ha detto che va applicata la legge e chi ha detto il contrario.

Non sarà facile insomma trovare un accordo per superare la logica della procedura d’infrazione. Per Draghi, non c’è dubbio, una delle sfide più difficili. 

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