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La linea giurisprudenziale sembra chiara: anche se ogni caso fa storia a sé, i giudici stanno bocciando, uno dopo l’altro, tutti i ricorsi presentati dai “no vax”. 

Il datore di lavoro deve infatti garantire la sicurezza di tutti i lavoratori, come prescrive l’articolo 2087 del Codice civile. Mentre il lavoratore, da parte sua, deve contribuire all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e deve prendersi cura della salute propria e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, in base al Dlgs 81/2008.

Sono queste le principali motivazioni con le quali i giudici hanno respinto, finora, i ricorsi dei lavoratori sospesi dal servizio o messi forzatamente in ferie perché rifiutavano il vaccino anti Covid-19. Ed è una linea che è stata seguita non solo per i lavoratori tenuti per legge alla vaccinazione, ma anche per i no vax di settori non coinvolti dall’obbligo vaccinale.

A fare da apripista il 19 marzo, è stata un’ordinanza del Tribunale di Belluno che ha respinto la domanda di riammissione in servizio di sette operatrici socio-sanitarie di una Rsa che avevano rifiutato il vaccino e per questo erano state collocate forzatamente in ferie. Il giudice ha ritenuto che il datore di lavoro, allontanandole dalla Rsa, abbia agito in linea con l’obbligo di tutela della salute (loro e altrui) previsto dall’articolo 2087 del Codice civile (la decisione è stata poi confermata dal Tribunale il 6 maggio).

 
 
 
 

Anche il Tribunale di Modena (Ordinanza della terza sezione civile del 19 maggio, confermata il 23 luglio) ha respinto il ricorso contro la sospensione di una lavoratrice di una cooperativa che svolgeva servizi in una Rsa, in seguito al suo rifiuto di fare il vaccino.

Il Tribunale di Roma, infine, con un’ordinanza del 28 luglio, ha ritenuto legittima la sospensione dall’attività e dalla retribuzione di una lavoratrice no vax impiegata in un villaggio. Anche qui, secondo il giudice, il datore ha operato in linea con l’articolo 2087 del Codice civile.

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