L’elemento che costituisce l’essenza di Cesenatico: il mare. Ciò che caratterizza la cittadina e la rende unica. Una realtà che si trova a metà tra tradizione e identificazione. I flutti impreziositi dalla spuma, il vento che profuma di sale, le barche che solcano l’acqua e riflettono i colori delle vele.
Eppure c’è anche altro. Cosa si nasconde dietro lo spettacolo della navigazione? Il modo di creare le imbarcazioni. L’arte. Non solo il mestiere. Qualcosa che si è tramandato per generazioni ed è arrivato fino a noi. I Maestri d’Ascia, in poche parole.
Cesenatico vanta la presenza di ben tre cantieri navali. Marconi, Boschetti e Foschi rappresentano l’essenza della costruzione, della storia e dell’usanza antica che è riuscita a sopravvivere. Pongono l’attenzione su qualcosa che, forse, non conosciamo come dovremmo. Via ai racconti del mare.
Elviro Marconi, cantieri Marconi: “Il lavoro del Maestro d’Ascia era (ed è) seguire la realizzazione della nave a tutto tondo: partendo dalla selezione del legno fino al varo finale. Il nostro cantiere è stato il primo dei tre a vedere la luce. Ha avuto un’evoluzione che ci ha portato, negli anni, a costruire per personaggi come Walter Chiari e Raoul Casadei. La nostra produzione è passata per pescherecci, lance, battane, bragozzi fino ad arrivare a motonavi e piccoli yacht. Si può dire che io e i miei fratelli siamo nati qui. Tra materiali e attrezzi. La nostra manualità si è sviluppata gradualmente con anni di apprendistato. Poi abbiamo dato l’esame in Capitaneria per poter diventare Maestri d’Ascia a tutti gli effetti. Difficile dover sostenere prove teoriche quando nella pratica, spesso e volentieri, i termini dialettali sostituiscono quelli tecnici come niente. Io ho fatto il mio ingresso nel 1964 e da quel momento non ho più abbandonato questo contesto.
Anche se, attualmente, il cantiere si occupa principalmente di riparazioni e manutenzione. Abbiamo donato parte della nostra antica bottega al Museo della Marineria per lasciare una testimonianza tangibile alle generazioni future. Un mestiere davvero particolare: non si inventa. Richiede anni per acquisire anche le conoscenze primarie e, ai giorni nostri, sta diventando sempre più difficile “passare il testimone”. In pochi hanno voglia di cimentarsi in un impegno di questo tipo. Per cui, mi duole dirlo, sta lentamente scomparendo. Occorre passione e voglia di impegnarsi”.
Fabio Boschetti (e fratelli), cantiere Boschetti: “Mio padre ha cominciato nel 1959 in un capannone di nylon vicino a casa. Faceva il falegname e adorava le barche. Così si è adoperato per costruire da solo. Poi ha messo su il cantiere vero e proprio. Specialità: motonavi per trasporto passeggeri. Io e i miei fratelli non abbiamo tardato a farci strada in questo settore. Abbiamo cominciato nel 1978. E poi, da lì, si sono susseguiti i progetti di alto livello che abbiamo curato. Siamo cresciuti insieme ai cantieri Foschi. Ci siamo migliorati a vicenda. Senza tralasciare un po’ di concorrenza, chiaramente. In questo momento stiamo dando la precedenza a prodotti in vetroresina. È la formula più richiesta in commercio. Ma, ovviamente, preferiamo di gran lunga lavorare con il legno. È vero: la tradizione si adatta al mercato. Poi non troviamo manovalanza. I ragazzi non sono attratti da questo impiego: l’impegno è tanto e la retribuzione lascia il tempo che trova. Abbiamo organizzato, tempo addietro, dei corsi per provare ad avvicinare i più giovani. Ma si sa: questo non è un genere di cose che impari con uno stage estivo. Servono anni di lavoro e bisogna essere disposti a cominciare dai compiti più umili. Tramandare è tanto essenziale quanto difficile“.
Andrea Foschi, cantiere Foschi: “Siamo rimasti gli unici a lavorare esclusivamente con il legno. L’attività è cominciata nel 1969 grazie a mio padre. Faceva il falegname classico ma poi ha iniziato a costruire con Marconi. Si è appassionato e ha dato vita al suo cantiere. Per diventare Maestro d’Ascia serve un corso di tre anni come allievo, poi si sostiene l’esame in Capitaneria. Spesso la commissione non sa nemmeno cosa chiedere. O almeno questo è quello che ho tratto dalla mia esperienza personale. Da studiare c’è poco. Si capisce molto meglio attraverso la pratica. Bisogna buttarsi, applicarsi ed essere in grado di sviluppare la manualità.
Le nozioni in senso stretto servono solamente per l’esame, appunto. Le cose da sapere sono infinite. Ma si assimilano col mestiere. Mi rendo conto che noi, come settore, stiamo svanendo. Una volta eravamo in tanti e, per forza di cose, i tempi di costruzione erano più corti. I ragazzi? Neanche a parlarne! Se qualcuno si interessa – e succede raramente – non è quasi mai disposto ad accettare il percorso e la fatica tra polveri e legnami. Sarebbe bello avere dei finanziamenti per riuscire a seguire più apprendisti con attenzione in modo da scongiurare l’estinzione di un universo come questo che, in realtà, si inserisce anche in altri ambiti. A breve, infatti, arriverà una sorpresa che coinvolgerà il cinema”.
Bravissimi. Un’esempio x le nuove generazioni