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Karpenter al Vidia di Cesena. Nella serata del 31 ottobre il gruppo si esibirà dal vivo per lanciare il proprio disco.

Sleepless” è il nome dell’album. Da cosa deriva questo nome? Ma prima di questo occorre sapere cosa comporta registrare un disco nell’epoca della pandemia. Non solo: cosa si prova a ritornare su un palco che custodisce mille ricordi di una gioventù trascorsa tra strumenti e note a tutto volume? Perché si sa: i momenti passano,  i contesti cambiano. Eppure c’è qualcosa che rimane invariato nonostante tutto. Qualcosa che sopravvive al continuo incedere del tempo.

Tutto ciò raccontato dalla voce di Francesco Vicini, uno dei fondatori del complesso.

Il nostro gruppo vuole essere un tributo al regista John Carpenter. Da lui deriva il nome della band. All’interno del nostro nuovo album, “Sleepless”, riprendiamo vari aspetti della filmografia horror. Abbiamo strutturato il disco in dieci tracce, ognuna delle quali richiama ad una pellicola del genere. Ecco che tra le nostre note si possono ritrovare elementi di “Psycho”, “La cosa”, “Fuga da New York” e altro ancora. Non a caso abbiamo selezionato proprio la sera del 31 ottobre, Halloween, per presentare il progetto”.

Come ha influito la pandemia nella produzione del disco?

“L’idea della produzione, in realtà, nasce tre anni fa. Tutto è stato pensato e contemplato prima della pandemia. Neanche a dirlo, la situazione emergenziale ha rallentato i lavori quant’altro mai. Con le difficoltà nell’ambito degli spostamenti, poi, abbiamo addirittura dovuto registrare le varie parti delle canzoni anche a distanza di mesi. Ci siamo affidati alle cure di un professionista, Gabriele Ravaglia, che ha seguito l’iniziativa nelle fasi del suo sviluppo”.

 
 
 
 

Come vi siete trovati?

Molti di noi provengono da altri gruppi musicali che però, nel tempo, hanno perso unità fino a disgregarsi. Ci siamo congiunti per realizzare un nuovo contesto in cui creare musica e fondere passioni”.

Il Vidia è sempre il Vidia…

“Perché proprio il Vidia? Beh, semplice. Si tratta, per così dire, della nostra seconda casa. Tutti lo frequentavamo da giovani, ci lavoravamo e suonavamo con le vecchie band. Torniamo per rilanciarci. Per ritrovare le esperienze che, in un modo o in un altro, hanno segnato le nostre vite. E anche per rivedere le vecchie facce (per quanto possibile) dopo due anni di mascherine”.

“Non posso descrivere bene quale sia l’emozione di tornare in quel luogo. Ciò che sento con chiarezza è qualcosa di più simile ad una “pre-emozione”. Stiamo aumentando le frequenze in sala prove per dare il meglio di noi nel corso della serata di domenica. Senza contare il confine sottile che separa l’eccitazione dall’ansia da prestazione. Anche se, va detto, tutti i timori vengono annullati dalla voglia di divertimento e dal trasporto della musica. Ho la fortuna di essere accompagnato da una squadra di artisti e amici con i quali ho dato vita a questa storia: Marco (batterista), Filippo (cantante), Federico (chitarra), Manuel (il più giovane, anche lui alla chitarra) e Michele (tastiere). Io, invece, mi occupo del basso“.

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