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La disputa sulle concessioni balneari è un argomento talmente insidioso che anche uno come Stefano Bonaccini (presidente della regione italiana col più alto numero di concessioni balneari e da sempre prodigo di esternazioni) ha preferito non pronunciarsi. Sulla sua pagina Facebook – dal 9 novembre (giorno della sentenza del Consiglio di Stato) ad oggi – ha pubblicato un centinaio di post, nessuno dedicato a questa scottante materia che, fra due anni, rischia di stravolgere come un domino tutte le regole dell’industria turistica emiliano-romagnola.

La genesi politica del Governatore, del resto, affonda gli artigli in quella cultura di sinistra che, storicamente, difende in primis gli interessi del proletariato, non certo dei “Briatore in canotta”, come vengono etichettati, tra burla e perfidia, quegli operatori balneari che da “venditori d’ombra” sono diventati in pochi anni “imprenditori in Suv”. E sarà pure una sintesi cinica e banale ma, in fondo, è proprio per questo genere di caricature che i bagnini – nel momento più critico della loro storia – hanno ricevuto dall’opinione pubblica più ceffoni che solidarietà.

A Cesenatico ci sono poco meno di duecento famiglie che, dopo mezzo secolo di sacrifici, rischiano di vedersi espropriata la loro attività, eppure in tanti hanno brindato alla sentenza del Consiglio di Stato o, nei casi più benevoli, hanno preferito astenersi da ogni giudizio (ma tutti sanno quanto sia rumoroso il silenzio dell’invidia…).

Al grido di “ben gli sta” o “la pacchia è finita”, c’è chi ha parlato di libero mercato, chi di principio di equità e di legittima concorrenza e chi addirittura di “giustizia terrena”.

Perché, di riffa o di raffa, la vox populi resta sempre quella: i bagnini? Una lobby di privilegiati che si è arricchita oltre le ordinarie regole dell’impresa sfruttando un bene pubblico, pagando tasse irrisorie e tramutando un regalo dello Stato in un diritto feudatario. Non è detto che il popolo abbia sempre ragione ma, piaccia o no, questa è l’opinione della maggioranza.

 
 
 
 

Partiamo dalle tasse: tra canoni demaniali, pulizia dell’arenile e costi del servizio salvataggio, uno stabilimento balneare di Cesenatico paga, euro più euro meno, circa 36mila euro all’anno. Non granché (in rapporto ai fatturati) ma nemmeno quelle “poche migliaia di euro” che si favoleggiava.

In ogni caso, ammettendo per primi la disparità esattoriale con altre categorie, gli stessi bagnini hanno sempre dichiarato di essere disposti “a pagare di più” ma se il Governo – in 50 anni di riforme fiscali – non è stato in grado di ritoccare al rialzo i canoni demaniali, la colpa non può essere certo imputata a loro (alzi la mano chi, di fronte ad una cartella esattoriale troppo bassa, si sarebbe precipitato all’Agenzia delle Entrate implorando di pagare di più).

In ogni caso, per arginare cicalecci e “maldicenze” diffuse (secondo un articolo del giugno scorso de “Il Fatto Quotidiano” due terzi degli operatori balneari non raggiungerebbe i livelli minimi di affidabilità fiscale), i bagnini hanno escogitato in questi anni un’intelligente “operazione simpatia” e, a differenza degli albergatori Adac (che al territorio, fino ad oggi, non hanno mai regalato una cippa), hanno cominciato ad accollarsi qualche spesa della comunità.

Così, estate dopo estate, hanno affiancato il Comune nell’organizzazione di manifestazioni pubbliche (come i fuochi della Festa di Garibaldi, le serate “Lalla Palooza” o i “Concerti all’alba”), hanno garantito il wi-fi gratuito sui sette chilometri di arenile e partecipato attivamente alla promozione turistica. Insomma, un modo per riconquistare un ruolo “virtuoso” in una comunità vagamente ostile e sconfessare l’immagine tossica di “categoria privilegiata”.

A conti fatti, l’operazione non è servita granché visto che, non appena la Bolkestein è diventata una legge improrogabile, più delle mani tese sono volati i coriandoli.

Detto questo, per non incorrere nelle procedure di infrazione Ue e non giocarsi i miliardi salva-Governo del Recovery Fund, è molto probabile che stavolta non ci sarà il lieto fine.

La politica, alla fine, se ne laverà le mani (anche perché Salvini, ultimo baluardo dei bagnini, annaspa nei sondaggi) e le aste tanto temute questa volta si faranno sul serio. Gli operatori balneari, con ogni probabilità, saranno risarciti con lauti indennizzi che potranno re-investire in altre attività turistiche, magari in quella cinquantina di alberghi in vendita a Cesenatico che hanno un disperato bisogno di rilancio.

E la spiaggia? Beh, con la colonizzazione delle grandi multinazionali, i bagnanti non saranno più accolti dal classico “buongiorno signori” con la “esse” s(c)ibilante, ma con il “Dasvidania”, il “早上好” o uno squillante “Uè guagliò”. E se sarà meglio o peggio lo diranno i posteri e, come sempre, lo deciderà il mercato.

A noi, alla fine, resteranno solo i titoli di coda di un’epoca che si chiude e l’immagine romantica di quel bagnino che ci ha visto crescere: prima bimbi con la paletta e il secchiello, poi adolescenti con la prima morosa e, infine, padri di famiglia con moglie e figli al seguito. Ecco, quel bagnino lì non lo vedremo più perché certi ricordi sono come le onde del mare che vanno, vengono, si increspano, spumeggiano, s’infrangono e svaniscono. E poi tutto torna come prima… ma non è mai la stessa cosa.

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