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A cura di Federica Gualdani

L’idea per questo libro è venuta quasi per caso. Anzi, potrei dire di essermici proprio imbattuto“.

Sono queste le parole con cui nasce la vicenda narrata da Alvaro Collini, scrivente (come ama definirsi, e non “scrittore”) cesenate che, da pochi giorni, ha assistito all’uscita del suo nuovo romanzo. Da giovedì 18 novembre “Il Clochard”, pubblicato dalla casa Leone Editore, è disponibile in tutte le librerie d’Italia e sui siti online di Amazon e Mondadori.

Si tratta di una storia attuale, concreta. Di un racconto che ritrae una fetta di realtà spesso occulta o semplicemente ignorata. Dignità, lavoro, fatica, indifferenza. Tutti temi che vengono accettati come concetti ma, molto spesso, accantonati perché non trovano spazio nella vita di tutti i giorni.

No, non è un giudizio sulla società odierna con la pretesa di sanare le ferite del mondo. Nemmeno un modo per puntare il dito in maniera velata verso chi “potrebbe fare ma non fa”. È un invito al dialogo, all’osservazione da un altro punto di vista. Un viaggio alla scoperta di se stessi.

 
 
 
 

Non ho dovuto cercare l’ispirazione – spiega Alvaro – è stata lei ad arrivare da me. In una mattina, una delle tante, in cui mi trovavo per strada a correre. Un modo per tenermi in forma e per organizzare le idee all’aria aperta. Mi sono imbattuto in un signore che mi ha chiesto delle informazioni. Era chiaramente in difficoltà. Non si ricordava bene da dove provenisse. Tantomeno dove volesse andare. Portava dei panni sotto braccio, degli stracci malconci. Avrei potuto girargli attorno augurandomi che incontrasse qualcun altro. Magari lasciargli qualche spiccio. Meglio ancora: avrei potuto non far caso al problema e la mia vita sarebbe proseguita esattamente allo stesso modo. E invece è stato proprio da quell’incontro che ho sentito l’esigenza riprendere in mano la penna e creare un’altra storia. Ho chiamato i soccorsi aspettando che lo venissero a prendere e che lo aiutassero. Ciò che avrebbe fatto chiunque nella mia situazione. “Il Clochard” nasce da qui.

Una volta tornato a casa ho deciso di mettermi all’opera per scrivere. Mi sono dovuto documentare molto, fare ricerche e ampliare le mie vedute. Un’impresa non da poco per la quale ho impiegato circa un anno e mezzo di lavoro”.

“Il volume parla di uno scrittore giunto in un punto di secca. Mentre navigava nel mare della scrittura e delle parole. Si è arenato in un banco di sabbia su cui non germogliano idee. Non sa più cosa scrivere, per farla breve. Sarà proprio il dialogo con un clochard che lo strapperà via da questa condizioni. Durante una vacanza al mare, infatti, i due si troveranno e andranno verso una scoperta reciproca. Antonio, il clochard, è un uomo che ha vissuto molto intensamente. È stato stritolato, quasi preso a morsi dalla vita stessa. Però poi ha lasciato tutto. Un fallimento di troppo, una delusione che l’ha fatto precipitare verso il suo destino. Potrebbe sembrare una scelta da deboli. Una sorta di fuga dal pericolo. E invece è l’esatto opposto. Si tratta di una decisione forte, che porta all’abbandono delle certezze verso una destinazione non definita. Sì, ad un salto nell’ignoto. Il suo timore più grande, invece, è l’essere riconosciuto. Non chiede aiuto, non cerca conforto. Solo non vuole far ricordare al mondo della sua esistenza. Sarà compito di Alfredo, lo scrittore, dare voce all’universo invisibile di chi non ha una casa”.

clochard living cesenatico

Il libro potrebbe essere ambientato anche a Cesenatico. Più che mai se contestualizzato all’interno di questa situazione di pandemia. Ho provato ad immaginarmi nei panni di questo tipo di persona. A decentrare per un attimo il mio pensiero e analizzare il mio concetto di vita. Ovvio, non ho la verità in mano. Ma vorrei cercare di sensibilizzare, per quanto possibile, riguardo all’argomento. Il rispetto reciproco, infondo, è il presupposto per garantire la dignità che ogni essere umano merita di possedere. Dietro alle persone, chiunque esse siano, si nasconde una storia. E sarebbe giusto cercare di andare un po’ oltre alle apparenze. Scoprire, quindi, di non essere poi così distanti. La stessa scelta del titolo, “Il Clochard”, è stata fatta per usare un termine che suonasse meglio. Che non fosse graffiante e ruvido come il resto della terminologia usata in questo ambito.

Le domande che sorgono sono quasi scontate. Come mai il compito di far fronte a questa problematica viene scaricato sui volontari? Cioè, perché non esiste un’istituzione di altro tipo che possa venire incontro alle persone strette nella morsa del disagio? Spesso non si tratta di una condizione scelta. Ma ci si trova incastrati in situazioni da cui è difficile riemergere.

Non sto cercando di dare giudizi o di sputare sentenze. Ma credo che l’informazione sia il primo passo da muovere per dare un aiuto che riporti i suoi effetti in maniera concreta“.

 

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