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Si chiama “istruzione parentale” e – citando fedelmente la definizione pubblicata sul sito del ministero dell’Istruzione – è quel servizio che consente ad una famiglia “di provvedere autonomamente all’educazione dei propri figli”. Niente scuola, dunque, ma mamma e papà “dietro la cattedra”.

Il fenomeno della auto-didattica a domicilio è cresciuto in maniera vertiginosa in questi anni di pandemia. Molti genitori no-vax, per non sottoporre i figli al vaccino obbligatorio, hanno infatti preferito non mandarli a scuola e privilegiare altre forme didattiche consentite dalla legge.

 
 
 
 

Questa modalità ha ovviamente sollevato tante proteste da parte di sociologi e pedagogisti convinti che la scuola, grazie alle sue esperienze aggreganti e di condivisione, debba essere sempre vissuta in presenza. Ma negli anni tormentati del Covid le nostre abitudini si sono modificate e, piaccia o no, anche la scuola ha subìto dei cambiamenti epocali.

Comunque la pensiate, per ottenere il permesso ad esercitare l’istruzione parentale è sufficiente che i genitori auto-dichiarino di avere “la capacità tecnica ed economica per provvedere all’insegnamento parentale”. La dichiarazione viene poi esaminata dal dirigente scolastico dell’istituto più vicino che ha il dovere di accertare la fondatezza delle informazioni.

Sembra un format educativo piuttosto raro e, invece, nell’anno scolastico 2020/21 in tutta la provincia di Forlì-Cesena, ci sono stati ben 156 ricorsi all’istruzione parentale. Un numero in crescita costante visto che quest’anno sono già 200 (145 delle elementari).

In provincia la città che conta il maggior numero di casi è Cesena con 40 (21 riguardano ragazzi e ragazze delle elementari), seguita da 23 istruzioni parentali a Cesenatico.

 
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