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Dopo lo sciame sismico che, per fortuna, sembra si stia gradualmente attenuando, in tanti in questi giorni si sono posti la fatidica domanda: ma questi terremoti sono normali? A fare il punto della situazione è stato ieri l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che, in una nota pubblicata sul suo sito ufficiale dal titolo “I terremoti di Cesenatico: una sorpresa?”, ci offre finalmente – seppur con un linguaggio inevitabilmente “tecnico” – un punto di vista autorevole.

“Nelle ultime settimane – si legge nell’articolo – abbiamo rilevato un’attività sismica importante nella zona della provincia di Cesena-Forlì, in particolare nell’area compresa tra Cesenatico e Gambettola. Alle ore 14:00 del 30 gennaio sono stati registrati dalle stazioni della Rete Sismica Nazionale 58 terremoti, di cui 8 con magnitudo pari o superiore a 3. Gli eventi più forti della sequenza sono avvenuti il 26 gennaio (ML 4.1 – Mw 4.0) e il 28 gennaio (ML 4.1 – Mw 4.1).

 
 
 
 
 
 
 
 

La zona colpita ricade nella fascia “esterna” dell’Appennino settentrionale, caratterizzata da pericolosità sismica alta. Contribuiscono a questi valori di pericolosità i terremoti dell’Appennino, a sudest, e quelli “locali” generati da faglie attive collocate al di sotto delle coperture sedimentarie recenti del Po, a nord, e del margine adriatico.

Tra i terremoti appenninici troviamo quelli del 1781, 1661, 1768, 1918, 1594, tutti eventi importanti (magnitudo pari o superiore a 6) che hanno provocato danni intorno alle aree epicentrali e sono stati risentiti verso la costa.

I terremoti della fascia “esterna”, invece, sono mediamente di magnitudo inferiore ma, essendo più prossimi ai centri di Cesena, Cesenatico, Gambettola, hanno provocato danni maggiori. Anche se la zona interessata dagli eventi di questi ultimi giorni ha una sismicità più moderata di quelle circostanti, è ragionevole pensare che le strutture attive proseguano nel sottosuolo nell’area di Cesenatico. Come vedremo più avanti, questo è confermato dalle conoscenze sulla geologia del sottosuolo.

Tornando alla sequenza di questi giorni, possiamo provare a confrontare la posizione degli epicentri con le strutture sismogenetiche del DISS – Database of Individual Seismogenic Sources  (Figura 4). Si nota come la sismicità attuale si collochi nell’estremità settentrionale della sorgente composita del riminese, rappresentata da faglie inverse sepolte, poste in prossimità della costa adriatica. Si potrebbe quindi ipotizzare a) un proseguimento della struttura riminese verso nord, oppure b) che la sismicità sia legata proprio a una transizione strutturale al bordo del sistema di faglie della costa riminese. 

Se si guarda a un profilo geologico che attraversa la zona in questione, si nota come al di sotto della copertura sedimentaria recente sia presente una complessa struttura di faglie inverse, del tutto analoga a quelle che hanno dato luogo, tra gli altri, ai terremoti del 2012 nella zona di Finale Emilia e Mirandola

Un aiuto in questo senso potrebbero darlo i meccanismi focali degli eventi recenti. Ebbene, per entrambi i due eventi principali della sequenza, quelli di magnitudo Mw 4.0 e Mw 4.1 del 26 e del 28 gennaio 2023, sono stati calcolati dei meccanismi focali trascorrenti, indici di un movimento orizzontale della faglia, che potrebbe essere individuata in uno dei due piani identificati (ENE-SSO o NNO- SSE). Sembrerebbe quindi poter propendere per una faglia di svincolo tra strutture di faglie inverse come quelle del riminese e quelle note nel sottosuolo padano a nord.

Va tuttavia considerato che le profondità ipocentrali calcolate per i terremoti della sequenza di questi giorni sono comprese tra i 15 e i 25 km, facendo pensare a una deformazione del basamento situato al di sotto della copertura sedimentaria”.

 
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