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Mercoledì 21 febbraio, alle ore 20,45, al Circolo Arci di Borella, e’ in programma il terzo dei quattro incontri dedicati alle vicende storiche legate alla nostra Romagna. 

Questo appuntamento sarà dedicato alla storia delle miniere di zolfo, una realtà che – da un punto di vista occupazionale ed economico – era considerata la più importante della Romagna.

Ma quelle miniere erano anche delle comunità ricche di vicende umane, di solidarietà e di coraggio, uno spaccato ideale per meglio capire, assieme ad una attività produttiva ormai definitivamente scomparsa, la vita della nostra gente. 

Il più antico documento conosciuto, che ricorda lo zolfo romagnolo, si trova nell’archivio arcivescovile di Ravenna e risale al 1047 e fa riferimento ad una pieve (di San Pietro in Sulferina) sicuramente da identificarsi con l’attuale paese di Borello, ma la miniera detta” Sulfaranaccia”, ubicata nella parrocchia di Bacciolino, era certamente conosciuta dai Romani.

Però anche se le miniere di zolfo dell’area romagnola sono state coltivate fin dall’antichità, sono state sfruttate industrialmente solo a partire dal XIX secolo.

Tra il XIX e XX secolo hanno rappresentato poli d’estrazione d’importanza europea. Nel giro di pochi anni, nel diciannovesimo secolo, vecchi e nuovi siti di estrazione assunsero sembianze industriali, aumentando esponenzialmente dimensioni e capacità produttiva.

In questi ambienti estremi, tra rotaie e carrelli, mine per aprire nuove gallerie, temperature altissime, basse concentrazioni di ossigeno, migliaia di lavoratori prestavano ogni giorno servizio.

Lo zolfo veniva usato soprattutto in agricoltura e medicina, oppure come combustibile. In seguito, con l’invenzione della polvere nera (polvere da sparo) e successivamente con l’utilizzo diffuso dell’acido solforico, la richiesta di zolfo crebbe fino a stimolare un’industria fiorente. Oggi la maggior parte dello zolfo necessario all’industria si ottiene dalla desolforazione del petrolio.

Il motivo geologico dell’abbondanza di zolfo è la presenza della formazione gessoso-solfifera, dovuta a una lunga fase di evaporazione del Mediterraneo avvenuta intorno ai 6 milioni di anni fa. Il territorio romagnolo interessato dall’estrazione dello zolfo si estendeva trasversalmente fra le valli del Rabbi, del Bidente e del Savio. Le miniere sorte in periodi diversi sono state quelle di Predappio nella valle del Rabbi, di Valdinoce, Polenta e Valdimauro nella valle del Bidente, di Boratella e Formignano nella valle del Savio.

Lo zolfo prodotto, seguendo il fiume Savio, confluiva in parte a Cesena e poi al porto naturale di Cesenatico, punto importante per la commercializzazione del prodotto, creando di fatto una “via dello zolfo”.

Lo zolfo arrivato a Cesenatico veniva imbarcato su battelli di piccolo cabotaggio e trasportato al porto di Ancona, lì veniva trasbordato su velieri più grandi e prendeva la via della Spagna e delle Fiandre. L’insediamento più importante, quello di Formignano presso Borello di Cesena (Si ha notizia delle prime escavazioni nel 1556), raggiunse nel corso del tempo risultati di assoluto rilievo. La produzione di zolfo, divenne molto intensa subito dopo l’Unità d’Italia, durante la gestione della Società Miniere Solfuree di Romagna (8 maggio 1857).

L’attività proseguì sino al ventennio compreso fra le due guerre, caratterizzato da una buona stabilità economica e dal passaggio della proprietà alla Società Montecatini, che avrebbe gestito la produzione sino alla crisi degli anni cinquanta ed alla definitiva chiusura degli impianti, avvenuta nel 1962, con la chiusura definitiva della miniera di Formignano presso Borello, cessò per sempre, nel Cesenate, l’attività mineraria.

Relatore della serata sarà il geologo Fabio Fabbri, presidente della Società di Ricerca e Studio della Romagna Mineraria di Cesena, una realtà nata nel 1987 per svolgere una attività di ricerca, studio e valorizzazione del patrimonio minerario, materiale e culturale, della Romagna e per promuovere il recupero delle più significative testimonianze di archeologia mineraria.

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