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Mercoledì 13 marzo, al Circolo Arci di Borello, é in programma il secondo dei quattro incontri dedicati a temi di interesse sociale. L’appuntamento di domani – che si svolge In collaborazione con la Cooperativa Casa del Popolo ed il Patrocinio del Comune di Cesenatico, si intitola “I campi di concentramento fascisti, i conti con la storia”. 

Relatore della serata sara’ il Professor Alberto Gagliardo (Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea Forli-Cesena), docente di Lingua e Letteratura Italiana nei licei. Attualmente è distaccato presso gli Istituti per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Forlì-Cesena e Rimini.

La serata – che sara’ preceduta da una video-intervista ad una internata – é dedicata ad una pagina buia della nostra storia recente poco nota all’opinione pubblica e alla storiografia ufficiale.

Le riflessioni della comunità scientifica sul tema dei campi di concentramento fascisti hanno cominciato a toccare l’opinione pubblica e ad inserirsi in circuiti comunicativi diversi da quelli accademici o specialistici solo in tempi recenti. Nonostante i grandi sforzi la vicenda dei campi di concentramento fascisti non ha raggiunto, comunque, una visibilità pubblica paragonabile a quella della Shoah.

La storia dei campi di concentrazione fascista può essere sostanzialmente suddivisa in tre periodi, quello della prima fase bellica (1940-1943) e quello successivo all’armistizio (8 settembre 1943) e all’occupazione nazifascista della penisola (1943-1945).

 
 
 
 
 
 
 
 

Il 4 settembre 1940 Mussolini firmò il decreto che istituiva i primi 43 campi di internamento per cittadini appartenenti a Stati nemici; in realtà, in questi luoghi finirono diverse categorie di persone, dai soggetti ritenuti pericolosi nelle contingenze belliche agli ebrei italiani, dai cittadini (ebrei e non) appartenenti a Stati nemici agli zingari.

Subito dopo l’invasione della Jugoslavia, il 6 aprile del 1941, la deportazione diventa una prassi ricorrente ed ampiamente utilizzata, come dimostra la creazione di veri e propri campi di concentramento destinati ad accogliere cittadini jugoslavi. Strutture nelle quali passano, ammassati gli uni accanto agli altri, circa 100.000 civili tra uomini, donne, vecchi e bambini, costretti a sottostare a una disciplina rigorosa e a vivere in condizioni igienico-sanitarie disumane.

La fame si presenta dunque come una delle principali cause di morte all’interno dei campi di internamento fascisti, circa duecento strutture disseminate lungo il territorio italiano e quello jugoslavo occupato. La struttura dell’isola di Arbe (RAB), in Dalmazia, rappresenta il più tristemente noto tra la totalità dei campi allestiti dagli italiani, oltre che quello di maggiori dimensioni. Dalla struttura di Arbe, punto nevralgico dell’intero universo concentrazionario fascista, dipendono, in territorio italiano, altri complessi adibiti all’internamento di cittadini jugoslavi: Cairo Montenotte (Savona) in Liguria, Renicci (Arezzo) in Toscana, Monigo di Treviso (Treviso) e Chiesa Nuova (Padova) in Veneto, Visco e Gonars, il più grande campo di concentramento per internati civili attivo in Italia durante il secondo conflitto mondiale. I cosiddetti campi di smistamento in Italia, anticamera dei lager europei, sono quattro: Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Fossoli (Modena), Grosseto e Bolzano-Gries.

Dopo l’occupazione nazista della Venezia Giulia, che diviene territorio del Reich, è creato a Trieste l’unico campo di sterminio italiano, la Risiera di San Sabba, avvolta da una coltre di silenzio per oltre 30 anni, dove furono assassinate più di 5.000 persone.

La partecipazione è libera e gratuita.

 
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