a cura dello Studio Associato Faggiotto Samorè
Immagina la scena: Mario, dipendente modello… beh, quasi, si prende qualche giorno di malattia. Colpo della strega? Influenza fulminante? No, semplicemente un malessere misterioso che, stranamente, lo blocca proprio in quei giorni in cui – casualmente – si svolge il torneo di calcio amatoriale che aspetta da mesi.
Ma Mario non è tipo da farsi fermare da piccoli dettagli come il rispetto del contratto o la fedeltà aziendale. Così, mentre i suoi colleghi sgobbano in ufficio, lui scende in campo con la squadra, convinto che nessuno scoprirà la sua piccola avventura calcistica. D’altronde, chi lo vedrebbe mai in azione sotto il sole del sabato pomeriggio?
Purtroppo per Mario, la giustizia non dorme mai, e nemmeno i suoi datori di lavoro. Così, tra una rovesciata e una scivolata, il suo piano segreto crolla. La Corte di Cassazione, con la sua immancabile saggezza (Ordinanza n. 23852 del 5 settembre 2024), interviene a ricordare che partecipare a un torneo di calcio durante la malattia è, diciamo, non proprio un esempio di diligenza lavorativa.
Gli Ermellini – che a questo punto immaginiamo un po’ come arbitri severi con il fischietto in mano –, con l’Ordinanza n. 23852 del 5 settembre 2024. stabiliscono che fare sport in piena malattia può far nascere qualche dubbio sulla reale esistenza del malessere, oltre che mettere a rischio la guarigione. Insomma, Mario, se non puoi lavorare, forse non dovresti nemmeno correre dietro a un pallone.
Morale della storia? Se hai una partita importante in programma, forse conviene trovare una scusa migliore o, meglio ancora, fare il bravo e restare a casa. Perché se la squadra vince, tu rischi di perdere… il lavoro!
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