La Romagna vista dallo spazio mostra gli effetti delle piene dei fiumi sul mare. A suscitare la riflessione è stato il portale Meteo Forlì Cesena che ha pubblicato una eloquente immagine catturata dai satelliti della Nasa. Il dibattito è stato istantaneo e su questo tema abbiamo raccolto il parere esperto di Manuel Guidotti del Co.Ge.Mo. Ravenna.

La categoria che rappresenta Manuel è quella dei vongolari che stanno affrontando un lungo periodo di carestia che li ha costretti a terra oltre il periodo di fermo pesca previsto. Avevamo parlato di questo problema in un servizio che è possibile leggere qui.
“L’immagina – commenta Manuel – mostra chiaramente i detriti trasportati dalle recenti piogge verso il mare, con una concentrazione evidente proprio nel compartimento di Ravenna, dove sfociano fiumi come il Reno, il Lamone, i Fiumi Uniti e il Savio. È importante sottolineare che gli apporti fluviali ci sono sempre stati, come pure le piene, ma è altrettanto chiaro che dal 2023 in poi si è aperto un ciclo particolarmente intenso e ravvicinato di eventi estremi: l’alluvione del 2023, quella del 2024 e le recenti piene dei primi mesi del 2025. Di fatto, sono tre anni consecutivi che la fascia costiera ravennate riceve un abbondante carico di acqua dolce, fanghi e detriti”.
“E ciò che colpisce – prosegue – è che, rispetto ad altre zone della regione dove le correnti marine riescono a disperdere e diluire meglio questi apporti, la nostra costa – per conformazione – tende a trattenere tutto, creando un ambiente più fragile e soggetto a crisi, come le morie di vongole che continuiamo a registrare. Questo non è un episodio isolato, ma un quadro strutturale che va compreso per affrontare con consapevolezza le difficoltà del nostro compartimento“.
“Scelte obbligate”
“Nel concreto – aggiunge – , a partire da febbraio 2025 siamo stati costretti a predisporre un fermo pesca che durerà fino a giugno. Ma questa non è una novità assoluta: già negli ultimi mesi del 2024, a causa delle stesse criticità ambientali, siamo stati costretti ad osservare un fermo prolungato oltre il consueto. […] Tradotto in numeri: nell’arco temporale che va da ottobre 2024 a giugno 2025, avremo lavorato soltanto 25-30 giorni. Siamo a marzo, e il fermo durerà almeno fino a giugno: questo significa che, in 8 mesi, l’unica vera finestra di attività è stata quella manciata di giornate tra metà novembre e inizio febbraio. Per il resto, siamo stati costretti a restare fermi — e purtroppo, non per scelta. Va però aggiunto un punto fondamentale: questa non è una condizione nuova per il compartimento di Ravenna.
Negli ultimi 10 anni abbiamo già vissuto interi anni di fermo, con annate in cui siamo riusciti a lavorare solo 1 o 2 mesi. In certi casi anche 10 o 11 mesi consecutivi di fermo pesca, sempre per cause ambientali”.

in foto Manuel Guidotti
“Questo – sottolinea – dimostra che la nostra attività è strettamente e completamente legata alle condizioni ambientali, e soprattutto a tutto ciò che dall’entroterra arriva in mare. Il nostro è un compartimento fragile, che da sempre convive con queste difficoltà, oggi solo rese più evidenti e frequenti dai cambiamenti climatici e dall’intensificarsi degli eventi estremi. E va detto chiaramente: non è affatto matematico che a giugno si potrà riprendere a pescare. Se questo scenario di continue piogge e forti apporti fluviali dovesse persistere, il fermo pesca pensato fino a giugno potrebbe dover essere esteso ad oltranza. Una prospettiva preoccupante, che ci lascia in uno stato di grande incertezza e che impone a tutto il comparto una riflessione seria sul presente e sul futuro della nostra attività.

Come se non bastasse…
“A tutto questo – conclude con una nota amara – si aggiunge un altro aspetto che pesa enormemente sulle nostre imprese: a causa della politica vessatoria della Comunità Europea in materia di pesca, le nostre imprese — pur essendo in possesso di regolari licenze — non possono esercitare nessun altro tipo di pesca nei periodi di fermo.
Questo significa che, anche volendo diversificare temporaneamente le attività per garantire un minimo di sussistenza, non ci è consentito. Ci viene di fatto negata ogni alternativa.
Una limitazione gravissima che, sommata alle difficoltà ambientali, sta mettendo in ginocchio le imprese e rischia di compromettere la tenuta del comparto stesso”.