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Sono trascorse poco più di due settimane dal “lockdown” e, come previsto, già vacilla il tessuto economico locale. Come dicono gli analisti, tutto dipenderà dalla durata dell’emergenza. Perché, per molte attività del territorio, un conto sarà arginare una paralisi produttiva di un paio di mesi, un altro ipotizzare l’estensione dell’emergenza anche all’estate. Nel primo caso i danni saranno rilevanti ma, forse, anche con le prebende di Stato, non irreversibili. Nella seconda ipotesi, invece, per non ritrovarci tra le macerie di Ground Zero, occorreranno misure drastiche. Per tutti.

E proprio a quest’ultime sta pensando la Fipe Confcommercio, ovvero la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi che, nel caso l’emergenza si protraesse ulteriormente, propone per tutti gli affittuari il ricorso all’articolo 1256, co. 2, cod. civ., secondo cui, in buona sostanza, in caso di eventi straordinari, il canone d’affitto al locatario non è dovuto.

E’ infatti già stato predisposto un modello di lettera col quale, in ottemperanza ad una serie di norme, l’affittuario – almeno fino alla durata dell’emergenza – potrà chiedere legittimamente non solo il congelamento del canone ma, alla luce dei nuovi scenari economici, anche la rinegoziazione del contratto di locazione immobiliare ad uso commerciale.

Per la verità, il ricorso all’articolo 1256 potrebbe anche risultare superfluo visto che – come evidenzia la stessa Fipe – il decreto d’urgenza emanato per far fronte all’emergenza tutt’ora in corso ha espressamente stabilito che “il rispetto delle misure di contenimento … è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti” (art. 91 del D.L. 17.3.2020, n. 18)”. Dunque, è ragionevole ritenere che lo stesso legislatore, comprendendo i rischi collegati all’imposizione della chiusura delle attività commerciali anche delle micro-imprese, ha considerato che la mancata realizzazione di introiti da parte del conduttore possa comportare l’impossibilità di pagare il canone e che questo non sia a lui imputabile.

Per quanto riguarda, infine, la rimodulazione del canone d’affitto, secondo Fipe “l’oggettiva impossibilità di svolgere l’ordinaria attività nei locali citati” potrebbe comportare la “sopravvenuta eccessiva onerosità del canone di locazione, non consentendo di realizzare lo scopo perseguito dal contratto, vale a dire l’utilizzo dei beni locati per svolgere l’attività d’impresa. E’ indubbio, infatti, che l’impossibilità di aprire i locali al pubblico ha comportato uno squilibro tra le prestazioni originariamente pattuite che – secondo la Federazione dei Pubblici Esercizi – richiede un intervento negoziale che consenta di riportarle ad equità”.

In particolare viene in considerazione l’art. 1467 cod. civ. laddove si prevede che il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili – come oggettivamente quelli in corso – può comportare che la prestazione di una delle parti, nel nostro caso quella del conduttore, diventi “eccessivamente onerosa” e dunque suscettibile a rimodulazione. Del resto anche l’art. 1464 cod. civ. prevede che “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta”.

In forza di queste ragioni, dunque, secondo la Fipe, tutti gli affittuari, nel caso l’emergenza si prolungasse ulteriormente, avrebbero titolo per chiedere la sospensione del versamento del canone di locazione (fino a quando sarà possibile per legge riprendere l’attività ordinaria) e la rinegoziazione delle condizioni contrattuali.

 
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