Le avventure di Attilio gli iniziano a sorridere. E dopo l’oppressione nazista riesce a passare il confine italiano e riabbracciare i suoi familiari. Ecco il racconto in prima persona di Attilio grazie alle pagine diffuse dai figli Mauro e Giulio.
“Mio padre mi accompagnò a casa, chiamando a squarciagola il nome di mia Madre. Arrivati a casa fra baci e abbracci, in pochi minuti la casa si riempì di gente, tra i quali i miei fratelli sorelle sposati, fra questi anche mio fratello Alberto da poco tornato a che lui dalla prigionia tedesca, i fratelli Ivo e Adolfo tardarono qualche mese. Così tornò tanta pace per i nostri genitori che tanto avevano tremato per la nostra sorte.
La notte molte volte mi svegliavo con grandi urla, avevo incubi della prigionia impressi ancora nella mia testa, i miei si svegliavano di soprassalto e avvicinandosi a me, cercavano in molti modi di calmarmi. Questi incubi durarono la bellezza di due o tre mesi, poi piano piano ripresi la vita normale. A Cesenatico c’erano ancora le truppe di occupazione inglesi e polacchi che si erano affiancati alle truppe alleate. C’era pure un campo di concentramento dei tedeschi nella zona della fornace, perciò dalle 10 di sera fino al mattino funzionava il coprifuoco. Io andavo dalla mia ragazza, che poi diventò mia moglie, durante il giorno, qualche volta anche alla sera. Una sera rischia la vita.
Stavo attraversando una passerella quando vidi due ombre, subito mi venne il sospetto di un agguato, infatti appena mi fermai per sincerarmi cosa stava accadendo; due uomini si misero a corrermi dietro con in mano un coltello a serramanico. Mi misi a correre verso la villa in cui abitava la mia fidanzata, avevo tirato fuori dalla cintola un pugnale per potermi difendere se mi avessero raggiunto, ma andò bene e non servì. Mentre correvo pensavo a come disperderli e siccome le ville in quel periodo erano senza recinto, voltai infilandomi nel buio. Loro i cercavano con una pila in mano, intanto io riusciì ad arrivare alla villa della mia fidanzata, bussai alla porta ed entrai in casa.
Furono attimi che non riuscii a dimenticare, anche perché dopo due anni di prigionia, per due vili aguzzini stavo perdendo la mia giovane vita. Il mattino dopo fummo svegliati da voci amiche, cioè da due dei miei fratelli che non vedendomi tornare, si erano preoccupati di venire a vedere cosa era successo. da quella volta non girai più di notte.
Io e la mia fidanzata decidemmo di sposarci il 29 giugno 1946, erano giorni difficili perché la guerra porta solo distruzione, odio e miseria che durò fino al 1953. Poi venne il boom, fabbricati che sorgevano come funghi, ville, condomini e infine il grattacielo. Ora anche gli operai potevano prendersi il lusso di comprarsi una macchina, magari usata, come feci io. Arrivato all’età di 60 anni andai in pensione nel 1982, non con una pensione adeguata a tutti gli anni che avevo lavorato, fra lavoro, militare e prigionia. Oggi me la passo discretamente”.