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attilio battistimi“Ero il penultimo nato di dieci figli e fino all’età di venti anni non ho conosciuto altro che lavoro e miseria. Senza colpa di nessuno bensì dei tempi che correvano”. Inizia così l’emozionante a tratti commovente racconto di vita vissuta di Attilio Battistini, giovane cesenaticense arruolato per la seconda guerra mondiale. Ha dovuto affrontare un’odissea di stenti, fatiche e privazioni passando per ben tre campi di concentramento nazisti; ha consegnato alla storia 21 pagine di quaderno, in un corsivo impeccabile in cui ogni parola è al posto giusto, le sue esperienze; impossibile non essere coinvolti da una testimonianza diretta, cruda e vera che descrive anche l’attaccamento alla vita di un giovane soldato arrivato a pesare 30 chili.

“Partii il 14 settembre 1942 presentandomi al distretto militare di Forlì, passate le visite fui inviato in provincia di Gorizia, a Circhina, di lì al reparto guardia frontiera”. In quel distaccamento dove Attilio sente per la prima volta la mancanza dei cari incontra Guerrino Campedelli di Borella con cui era di pattuglia proprio l’8 settembre quando “in fretta e furia” li fecero tornare in caserma. Incolonnati furono spediti a piedi verso Gorizia ma durante quel “cammino infernale” sono finiti in un’imboscata di ribelli slavi che li hanno condotti a Gradisca. “Arrivamo sfiniti alle 3 di notte del 10 settembre 1943. Capimmo poi – si legge – che fu un tradimento dei nostri ufficiali perché all’alba eravamo circondati da militari tedeschi armati fino ai denti”. Iniziano così le disavventure di Attilio Battistini, ecco un passo del suo diario gentilmente concesso dai figli Mauro e Giulio:

“Il giorno 12 settembre ci caricarono tutti, soldati e ufficiali, su dei camion, portandoci a Villa Opicina lì ci passarono in rassegna uno per uno assicurandosi che nessuno avesse armi nascoste. Furono per me attimi pericolosi perché lungo la gamba, nascosta sotto i pantaloni, avevo la pistola che mi aveva consegnato il mio comandante sottotenente. Passato il controllo riconsegnai la pistola ricevendo in cambio un grazie. Poi fummo separati, ufficiali da una parte, soldati da un’altra; alla stazione di Villa Opicina c’era una tradotta merci e sotto la minaccia della armi fummo caricati in cinquanta a vagone e chiusi per destinazione ignota. Rischiando la vita si avvicinarono alla tradotta delle persone del posto chiedendoci gli indirizzi di casa per fare avere notizie ai nostri cari. Fu un gesto molto civile. Attraverso l’Austria arrivammo in Polonia e precisamente a Thornn il 17 settembre 1943”.

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Alessandro Mazza

Alessandro Mazza

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