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Il diario di Attilio, capitolo II

By 3 Febbraio 2015 No Comments

A questo link il capitolo precedente del diario di Attilio.

CAPITOLO II

Estratto dal diario di Attilio gentilmente concesso dai figli Mauro e Giulio.

DSCF0457_web“Dalla stazione, in una lunga colonna con la scorta di militari armati e dopo vari chilometri, arrivammo in una radura dove c’erano tante baracche costruite in legno e ben recintate da reticolati alti vari metri con ai lati garitte di legno dove montavano di guardia le sentinelle tedesche armate di mitragliatrici. In quel momento capimmo di essere dentro un campo di concentramento, seppi poi che eravamo centomila soldati; gli ufficiali li avevano portati da qualche altra parte e non li vedemmo più.

Qui trovai altri compaesani e precisamente Galassi Quinto, Battistini Gino di Borella di Cesenatico e Nanni Augusto di Sala di Cesenatico. In questo campo di concentramento restammo quaranta giorni, furono molto duri e umilianti per gente civile. Tutti i giorni ci radunavano nei piazzali antistanti le baracche di fronte a ufficiali tedeschi e a qualche ufficiale italiano invitandoci a partire come volontari per combattere in Italia. In pochi accettavano quell’invito e così si infuriavano, entravano nelle baracche e perquisivano ogni cosa portandoci via tanti effetti personali perfino le coperte che ci servivano per coprirci dal freddo.

Più i giorni passavano e più la fame si faceva sentire perché ci veniva dato un solo pasto: un piatto con miglio, rape e qualche pezzo di patata molto rara. Per accedere al rancio venivamo messi in fila per tre con accanto sentinelle armate e cani rabbiosi come quelli che li tenevano per il guinzaglio. Messi in fila alle otto di mattina, gli ultimi prendevano il rancio alle sette-otto di sera; capitava anche che rimanessero senza perché nelle botti non rimaneva più niente.

Ogni tanto questi maledetti tedeschi si divertivano a buttare fuori dalla cucina palle di cavoli invitando noi affamati a tuffarci facendo mucchio cercando di prendere qualche foglia di questa verdura. Quando poi eravamo ben ammucchiati sfilavano il frustino e con questo ci malmenavano a sangue. Penso che questa sia una delle più grandi umiliazioni che un essere umano possa ricevere.

Verso la fine di ottobre fummo divisi in squadre e spostati in varie località tedesche per lavorare. Io e l’amico Campedelli restammo insieme e fummo mandati alla polveriera nei dintorni della città di Sagan. Lì si doveva lavorare sodo nonostante il mangiare non fosse cambiato molto: ci davano una fetta di pane grossa come un dito e dieci grammi di margarina. Questo doveva essere sufficiente fino a sera quando al rientro in baracca ci veniva dato un mestolo con la stessa zuppa. Il mio lavoro era quello di azionare un paranco per sollevare e spostare le bombe, chiuderle con un coperchio e mandarle in un altro settore dove veniva applicata la spoletta. Poi venivano mandate al fronte, anche in Italia”.

(continua a questo link)

Alessandro Mazza

Alessandro Mazza

Mi piace farmi gli affaracci vostri!

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