A questo link il capitolo precedente del diario di Attilio.
CAPITOLO II
Estratto dal diario di Attilio gentilmente concesso dai figli Mauro e Giulio.

Qui trovai altri compaesani e precisamente Galassi Quinto, Battistini Gino di Borella di Cesenatico e Nanni Augusto di Sala di Cesenatico. In questo campo di concentramento restammo quaranta giorni, furono molto duri e umilianti per gente civile. Tutti i giorni ci radunavano nei piazzali antistanti le baracche di fronte a ufficiali tedeschi e a qualche ufficiale italiano invitandoci a partire come volontari per combattere in Italia. In pochi accettavano quell’invito e così si infuriavano, entravano nelle baracche e perquisivano ogni cosa portandoci via tanti effetti personali perfino le coperte che ci servivano per coprirci dal freddo.
Più i giorni passavano e più la fame si faceva sentire perché ci veniva dato un solo pasto: un piatto con miglio, rape e qualche pezzo di patata molto rara. Per accedere al rancio venivamo messi in fila per tre con accanto sentinelle armate e cani rabbiosi come quelli che li tenevano per il guinzaglio. Messi in fila alle otto di mattina, gli ultimi prendevano il rancio alle sette-otto di sera; capitava anche che rimanessero senza perché nelle botti non rimaneva più niente.
Ogni tanto questi maledetti tedeschi si divertivano a buttare fuori dalla cucina palle di cavoli invitando noi affamati a tuffarci facendo mucchio cercando di prendere qualche foglia di questa verdura. Quando poi eravamo ben ammucchiati sfilavano il frustino e con questo ci malmenavano a sangue. Penso che questa sia una delle più grandi umiliazioni che un essere umano possa ricevere.
Verso la fine di ottobre fummo divisi in squadre e spostati in varie località tedesche per lavorare. Io e l’amico Campedelli restammo insieme e fummo mandati alla polveriera nei dintorni della città di Sagan. Lì si doveva lavorare sodo nonostante il mangiare non fosse cambiato molto: ci davano una fetta di pane grossa come un dito e dieci grammi di margarina. Questo doveva essere sufficiente fino a sera quando al rientro in baracca ci veniva dato un mestolo con la stessa zuppa. Il mio lavoro era quello di azionare un paranco per sollevare e spostare le bombe, chiuderle con un coperchio e mandarle in un altro settore dove veniva applicata la spoletta. Poi venivano mandate al fronte, anche in Italia”.
