a cura di Gianni Briganti
Come riportato nellaprima parte del servizio (clicca qui per leggerlo) Machiavelli è giunto a Cesena a metà del dicembre 1502 su incarico del gonfaloniere fiorentino Pier Soderini nel contesto di un più ampio viaggio diplomatico in Romagna per seguire Cesare Borgia, il Duca Valentino. Nel relazionarsi a lui rimane colpito dall’abilità politica che lo rende imprevedibile e imperscrutabile nelle decisioni; nel rapporto epistolare con la Repubblica Fiorentina, che lo ha inviato in missione, ammette di riuscire con difficoltà a rapportare con dovizia.
Un altro aspetto rimarcato spesso nelle epistole cesenati riguarda le sue condizioni economiche; lamenta presso il governo fiorentino di aver bisogno di denaro e al più presto “che avendo tre garzoni e tre bestie alle spalle, io non posso vivere di promesse”. Addirittura riporta di aver contratto debiti per il proprio sostentamento (“Ho cominciato a far debito, e fin qui ho speso 70 ducati”). Tuttavia, sebbene Pier Soderini gli riporti di una disastrata condizione finanziaria della Repubblica (“noi abbiamo trovato la città molto disordinata di danari”) e quindi potesse aver reali difficoltà a provvedere a un opportuno sostentamento economico, non è da escludere che parte del denaro a disposizione venisse dilapidato in prostitute e gioco d’azzardo, vizi di cui Machiavelli non faceva segreto. Parrebbe quasi che il Borgia stesso lo sostenesse economicamente nella sua permanenza cesenate.
Sapendo che egli è in procinto di partire per Rimini scrive infatti al governo fiorentino: “Io prego le SS.VV. con tutto il cuore che sieno contente volermi mandare da possere vivere, perché avendosi a levare questo signore, io non saprei dove mi andare senza danari”. Machiavelli non sembra essere troppo al corrente di ciò che succede all’interno della corte del Borgia anche se a volte con successo ne prevede le mosse; un esempio lampante riguarda la vicenda di Ramiro de Lorca, fidato governatore della Romagna per il Valentino e da lui fatto assassinare a Cesena per destare compiacimento del popolo nei suoi confronti. Scrive infatti il 23 dicembre Machiavelli: “Messer Rimino (qui sbaglia il nome), che era il primo uomo di questo signore, tornato ieri da Pesaro, è stato messo da questo signore in un fondo di torre: dubitasi che non lo sacrifichi a questi popoli, che ne hanno desiderio grandissimo”.
Il 26 dicembre conferma quindi: “Messer Rimino questa mattina è stato trovato in due pezzi in sulla piazza, dove è ancora: e tutto questo popolo lo ha possuto vedere: non si sa bene la cagione della sua morte, se non che gli è piaciuto così al principe, il quale mostra di saper fare e disfare gli uomini a sua posta, secondo i meriti loro”. Questa vicenda gli rimarrà bene impressa nella memoria tant’è che anni dopo la riporterà nel capitolo 7 de “Il principe” come esempio virtuoso del Borgia, ricordando che “per purgare li animi di quelli populi e guadagnarseli in tutto, volle mostrare che, se crudeltà alcuna era seguíta, non era nata da lui, ma dalla acerba natura del ministro (…). La ferocità del quale spettaculo fece quelli populi in uno tèmpo rimanere satisfatti e stupidi”. Machiavelli tornerà a Cesena 4 anni più tardi, dal 30 settembre all’8 ottobre 1506, inviato sempre da Pier Soderini per altra missione diplomatica al seguito del Papa. Nel 1513 scriverà quindi “Il Principe”, volume sulla diplomazia redatto per Giovanni de’ Medici, nel frattempo rientrato al comando di Firenze dopo la caduta della Repubblica; la stesura è sia il tentativo, andato poi a buon fine, di ingraziarsi il nuovo sovrano che, non da meno, il tentativo di farsi finanziare per pagare i tanti debiti contratti, pare, sempre a causa del gioco d’azzardo.
“Il Principe”, a differenza di quanto si creda, non sarà un mero elogio della spregiudicatezza e dell’opportunismo fini a sé stessi ma il primo moderno manuale di governo e diplomazia. E chiunque lo leggerà, nei secoli, conoscerà Cesena, Cesare Borgia e gli avvenimenti del 1502.