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Il tempo si è fermato. L’ultimo respiro di Obinna aleggia ancora nell’aria umida delle stanze alveare delle colonie. Se ne è andato lì, in pochi metri quadrati nel novembre 2018. Il suo corpo è stato ritrovato dopo che la sua ragazza aveva dato l’allarme; lui aveva appena 31 anni e molto probabilmente è caduto vittima di un mix micidiale di freddo e gas delle bombola per scaldarsi. Un fatto tragico che non si può dimenticare.

Negli anni quello stesso stabile è stato ancora il freddo e umido teatro vista mare che ha dato un riparo ad alcuni ragazzi. In fondo è sempre meglio un tetto sopra la testa piuttosto che il cielo.

Ultimamente alcune stanze dello stesso stabile sono state sfruttate da quattro ragazzi per ripararsi dal freddo pungente che si insinua nelle ossa. Ma una persona, che ha preferito mantenere l’anonimato, si è presa cura della loro situazione. Non si è preoccupata solo di procurare loro il cibo e delle coperte, ma ha anche trovato loro una sistemazione in una struttura della zona.

 
 
 
 

Senza dire niente e senza sbandierare nulla, ha fatto quello che molti, nella giungla dei social, ripetono come un mantra. “Perché non li prendi a casa tua?”. Solo nelle ultime settimane ha ospitato i 4 ragazzi che hanno potuto contare su una sistemazione migliore che le colonie. Dove i vetri nelle finestre sono un lusso che non ci si può permettere.

Nella foto sopra la stanza che è stata messa a disposizione da una cittadina. La sua ombra a destra 

Siamo tornati nelle loro stanze. A poche decine di metri la stanza che ha ospitato per l’ultima notte Obinna. Le sue scarpe sono ancora lì riposte con rispetto in un angolo, perfettamente appaiate.

Una cosa salta all’occhio. Un orologio appeso alla parete. Un simbolo di normalità tra cerini consumati per avere luce nella notte e tubetti di dentifricio. Le coperte sono umide. Tutto attorno è grigio. Anche quando c’è luce.

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Alessandro Mazza

Alessandro Mazza

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