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Sarà pure vero che la morte è una “livella” ma, per non urtare la sensibilità di chi rimane, in alcuni casi bisognerebbe anche misurare le parole degli omaggi postumi.

Per carità, una cosa è la giustizia terrena un’altra è la legge divina, ma forse nel necrologio dedicato a don Giuseppe Giacomoni – l’ex parroco di Cesenatico condannato a sei anni ed otto mesi di reclusione per sfruttamento della prostituzione minorile – la dicitura “sarà ricordato per l’opera svolta nell’educazione dei giovani” poteva essere evitata.

Non per togliere qualcosa all’operosità di un sacerdote che, nel corso della sua vita diocesana, avrà anche “prestato – come si legge nel manifesto funebre – un prezioso aiuto alla sua comunità parrocchiale”, ma per quel doveroso rispetto che si deve alle vittime degli abusi a cui quella frase suonerà come una beffarda presa in giro.

 
 
 
 

Il documento post-mortem commissionato dal Vescovo Douglas Regattieri ha invece deciso di rendere omaggio al prete e di saltare a pié pari i peccati dell’uomo. Lo impongono i protocolli ecclesiastici. Mai così distanti dalla vita reale.

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