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A Cesenatico (e non solo) ha destato particolare clamore la notizia dell’assoluzione del marciatore Alex Schwarzer. Perché quando nella nostra città si sente parlare di “provette alterate”, di “raggiri” e di “macchinazioni occulte”, la mente non può non volare a quel 5 giugno di 21 anni fa quando, nella tappa del Giro di Madonna di Campiglio, Marco Pantani venne fermato con l’ematocrito troppo alto.

Il Pirata sostenne fino all’ultimo la tesi del complotto (“Sono stato fregato”) e, in effetti, testimonianze incrociate e coincidenti, confermarono che, la sera prima, il controllo dell’ematocrito di Marco effettuato nella stanza del suo hotel dal medico della squadra aveva evidenziato valori abbondantemente nella norma.

Non esiste alcuna evidenza scientifica in grado di spiegare, nell’arco di poche ore, un’oscillazione dell’amatocrito così significativa. Dunque, se diamo per scontata la piena affidabilità del controllo della sera prima, è evidente che qualcosa nel controllo del giorno dopo non sia andato per il verso giusto.   

Ebbene, ieri il tribunale di Bolzano ha assolto Schwarzer “per non aver commesso il fatto”. In sostanza, il giudice ha sollevato pesanti dubbi sulla credibilità degli esami antidoping che portarono alla positività e alla squalifica del marciatore. Il giudice – ed è questo il passaggio clamoroso – ha ritenuto “accertato con altro grado di credibilità” che i campioni di urina nel 2016 furono alterati per far risultare l’atleta positivo. In pratica, un raggiro in piena regola per togliere di mezzo uno dei più forti marciatori della storia.

L’inchiesta si riferiva al presunto caso di doping di Alex, risalente al 2016, e non al primo caso, del 2012 (quello ammesso dallo stesso marciatore). Tutto era nato da un controllo del primo gennaio 2016, in seguito al quale il tribunale di arbitrato sportivo aveva condannato il marciatore a una squalifica di 8 anni, che sta ancora scontando. L’atleta ha sempre contestato la validità di questo secondo caso di presunta positività, puntando il dito sugli anomali valori, altissimi, del Dna contenuto nella provetta, dichiarandosi vittima di un complotto.

 
 
 
 

“Falso ideologico, frode processuale e diffamazione”, sono questi i reati che il gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, ipotizza nei confronti di chi avrebbe manipolato le provette di Alex Schwazer. Il giudice – che parla di “autoreferenzialita’” della federazione mondiale di atletica (Iaaf) e dell’agenzia mondiale antidoping (Wada), di manipolazione delle provette e di macchina del fango – rimette gli atti al pm invitandolo a indagare su quei reati.

Anche se Marco – va precisato – non è mai stato condannato per uso di sostanze dopanti, troppe le analogie, troppe le circostanze coincidenti. Impossibile, dunque, non ripensare a quanto accaduto a Pantani che, malgrado le tante anomalie della sua tormentata vicenda, a differenza di Schwazer, non riuscì mai a dimostrare la tesi del complotto.

Ma che qualcosa, quella mattina del 5 giugno 2000, non fosse andato per il verso giusto, l’hanno sempre pensato in tanti, non solo Pantani. E oggi, vent’anni dopo, i dubbi di ieri diventano sospetti e, forse, atroci verità.

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