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Ce ne eravamo accorti tutti degli aumenti (spropositati) dei prezzi al consumo e adesso arriva, nero su bianco, la conferma di un’inflazione che, rispetto allo scorso anno, ha raggiunto il 13,3%. Questo significa che una famiglia di Cesenatico spenderà per fare la spesa, mediamente, 3mila e 214 euro in più all’anno.

Rincari astronomici che fanno piazzare la provincia di Forlì-Cesena al quinto posto della classifica italiana dei capoluoghi e delle città più care in termini di spesa aggiuntiva annua. Il quadro emerge dai dati resi noti dall’Istat relativi all’inflazione di novembre, in base ai quali l’Unione nazionale consumatori ha stilato la graduatoria delle città e delle regioni più care d’Italia, in termini di aumento del costo della vita.

 
 
 
 
 
 

Considerando la Romagna, la provincia di Forlì-Cesena è seconda solo a Ravenna, mentre la regione Emilia Romagna è al secondo posto della classifica delle regioni “più costose” a causa della crescita dei prezzi del 12,4% che implica un’impennata del costo della vita pari a 2949 euro a famiglia.

Una stangata che ovviamente risente dell’emergenza internazionale ma che ha una matrice soprattutto speculativa visto che gli aumenti sugli scaffali dei supermercati, soprattutto adesso che si è abbassato il prezzo dei carburanti, riguardano anche filiere produttive che non dovrebbero essere minimamente coinvolti dalla crisi ucraina. Una deriva che ha portato molti cittadini a rivolgersi sempre più frequentemente ai discount rinunciando alla spesa nei supermercati tradizionali.

Tra i rincari più assurdi quelli delle cialde o capsule da caffè che, rispetto a un anno fa, costano il 25,9% in più. Sul gradino successivo si piazzano i film in dvd che salgono del 23,6% mentre la medaglia di bronzo è per macchine fotocamere e videocamere che aumentano del 20,2%. Se si vuole regalare una friggitrice ad aria o un forno a microonde si sborsa l’11,6% in più rispetto al 2021. In gioielleria si spende quasi il 10% in più, mentre sono addirittura in deflazione, malgrado gli aumenti dei costi della carta, i libri di narrativa (-2,2%). Meno cara anche la telefonia mobile che chiude la top 30 con -5,6%. Segno che la crisi internazionale c’entra fino ad un certo punto e che su molti prezzi pesa “l’economia creativa” di molte aziende della grande distribuzione che, come spesso accade, hanno visto nella crisi internazionale un’opportunità pretestuosa per aumentare i loro incassi.

 
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