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Si sa che, a volte, l’Europa – obnubilata dalla smania di innovazione – è poco sensibile alle tradizioni. E troppo spesso è l’Italia, paese dalla storia sontuosa, a farne le spese.

L’ultima spallata alla nostra identità riguarda la pesca a strascico che, secondo Bruxelles, nell’arco di pochi anni (per la precisione entro il 2030), dovrebbe essere abolita. Una decisione che, se confermata, metterebbe a rischio l’esistenza della gran parte dei pescherecci italiani in attività. Sicuramente sarebbe una pietra tombale sulla marineria di Cesenatico, dove la pesca a strascico è una tradizione ma anche una fiorente attività imprenditoriale. 

Per questo Alleanza Cooperative, che raccoglie Agci, Confcooperative, Legacoop, si prepara a fare fronte comune in Europa contro lo stop della pesca a strascico pensato entro il 2030.

Nasce da una iniziativa italiana, capitanata dalle principali organizzazioni della pesca e dei lavoratori, il fronte dei produttori europei contrari alla proposta della Commissione Ue: “Per questo – incalza Alleanza Cooperative – abbiamo dato vita a un confronto con le altre associazioni di categoria e sindacati europei per chiedere ai rispettivi governi di tutelare in Europa un settore che contribuisce per il 25% agli sbarchi totali di prodotto ittico e per il 38% dei ricavi, con oltre 7.000 imbarcazioni. E di queste 2.088 sono italiane”.

 
 
 
 
 
 
 
 

Dallo strascico, evidenzia Alleanza Cooperative, arriva il 33% del prodotto ittico nazionale per un valore pari al 46% del fatturato totale. Mercati ittici all’ingrosso come quelli di Cesenatico, Rimini, Porto Garibaldi, potrebbero chiudere i battenti se non venissero più riforniti dal pesce pescato con il sistema a strascico, che oggi si può dire rappresenti il 90% del pesce compravenduto in sala d’asta: merluzzi, scampi, canocchie, triglie, sogliole, rombi, rane pescatrici, mazzancolle, mazzole, moletti, razze.

L’Alleanza delle cooperative definisce la proposta “pericolosa” non solo per l’economia ittica ma anche per l’ambiente visto che, se dovesse andare in porto, spalancherebbe le porte all’importazione da paesi extra europei. «Dove – si richiama – la pesca viene praticata senza seguire le nostre regole in termini di sostenibilità, tracciabilità e sicurezza alimentare».

 
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