Attilio è stato portato in un campo di concentramento dove viene impiegato insieme all’amico Campedelli di Borella di Cesenatico nella polveriera. Ogni giorno devono combattere con il freddo, la fame e sono costretti a sopportare e ingoiare le umiliazioni dei tedeschi. (A questo link la puntata precedente dell’odissea di Attilio raccontata nel suo diario concesso dai figli Mauro e Giulio).
“Il lavoro durò sei mesi poi un giorno vennero a cercare tra noi dei muratori così in sei lasciammo la polveriera per una nuova destinazione; l’amico Campedelli rimase lì al suo posto. Fummo mandati a Gorlitz, lì dovevamo piantare baracche in mezzo alla campagna. […] Nei dintorni c’erano molte baracche di varia nazionalità: italiani, russi, polacchi, ebrei che vedevamo solo alla sera al rientro dal lavoro. In una guerra mondiale si sa che funziona una croce Rossa Internazionale che si interessa dei prigionieri di guerra di cui usufruivano francesi, inglesi, tutti gli altri erano dei deportati perciò nessuno si interessava alla nostra sorte”.
Capitolo III
l’offensiva
“Nei primi giorni di gennaio del 1945 le truppe russe sferrarono una grande offensiva attraversando la Polonia verso il territorio tedesco. Per questo il 27 gennaio fummo incolonnati insieme a tanti altri militari e civili con camion e carri trainati da cavalli di tutte quelle cose che avevano portato via dalle loro case. Quando partimmo senza una meta, il terreno era coperto da una coltre di neve alta circa quaranta centimetri e così, poco vestiti e affamati, incominciò il calvario; camminavamo giorno e notte, poche le ore di riposo in quanto i russi si avvicinavano molto in fretta.
A volte ci facevano riposare qualche ora di notte sotto grandi alberi o sotto fienili o in fornaci abbandonate. Qualche volta ci facevano passare la notte all’interno di grandi fattorie e qui ci arrangiavamo rubando qualche patata oppure grano. Il grano veniva macinato con un piccolo macinino ricavato da un pezzo di legno e ricoperto da due bidoncini in lamiera e bloccati con un chiodo, poi veniva cucinato con un po’ d’acqua dentro alla gavetta. Dopo tanti giorni di cammino ci fecero riposare varie ore dentro una fornace, qui capitarono due cose che difficilmente si possono dimenticare”.